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Tango Libre

Regia di Frédéric Fonteyne vedi scheda film

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La recensione su Tango Libre

di giancarlo visitilli
6 stelle

L’impossibilità della reazione all’azione, se questa è causa d’amore. E allora è possibile che si stia come in acquari, a boccheggiare. E fuori lì, il mondo, si muova a ritmi, niente affatto binari.

Notevole, affascinante, intrigante la narrazione di Frederic Fonteyne, per raccontare la storia di JC, una guardia carceraria, un uomo ordinario con una vita apparentemente tranquilla. La sua unica stravaganza è la lezione settimanale di tango, fino a quando, una sera, fa coppia con una nuova iscritta al corso, Alice, una raggiante 30enne, madre di un ragazzo di 15 anni. Il giorno seguente JC incontra di nuovo Alice nella sala visite della prigione. Lei era andata a trovate due detenuti, Fernand e Dominic, due vecchi amici e complici nel crimine per cui sono in carcere. Uno è il marito di Alice, l’altro il suo amante. JC, si trova così ad essere spettatore della vita piena di eventi di una donna fuori dal comune, vivendo nel rispetto dei suoi desideri e delle sue personali regole di vita, dividendosi tra il figlio ed i suoi uomini. Le regole della prigione vietano di socializzare con i familiari dei detenuti e JC sta per infrangerle tutte quelle regole, che hanno definito la sua vita fino a quel momento.

Tango Libre chiude la trilogia che il regista belga, Fréderic Fonteyne, ha dedicato alle donne e all’amore, dopo Una relazione privata (1999) e La Donna di Gilles (2004). Il racconto dell’amore di una guardia carceraria è il pretesto per dipingere il ritratto di una donna libera. Lei si muove a ritmo di tango, il ballo per eccellenza della passione, vivendo, a suo modo, la fedeltà e non tradendo nessuno dei due uomini a cui è legata. Lo straordinario montaggio del film, rende bene i difficili equilibri su cui poggia l’intensa vita di Alice che, ad un certo punto, deve tener conto che la sua passione deve essere ancora di più condivisa, allargata. Il passo, il tempo, la lunghezza, saranno, quindi, come per il tango, suddivisi in un processo ternario.  

Fonteyne affida la sua danza ad un cast di attori formidabili: l’intensa Anne Paulicevich, sua compagna di vita (ha firmato anche la sceneggiatura del film) e a due attori antitetici fra di loro, il gracile Jan Hammenecker e il virile Sergi Lopez. Questi riescono a rendere appieno la differenza di sguardi, di temperamento e di scelte di vita. E non è tanto il carcere ad essere la prigione che rende impossibile l’amore fra i protagonisti, piuttosto, e per paradosso, la stanza in cui la donna incontra i suoi compagni, non potendo evitare di avere lo sguardo interessato della guardia, sempre dietro di lei. Qui non c’è nessuno che punisce, ma solo qualcuno che, piacevolmente, sorveglia. Lo sguardo della guardia è affascinato, perso, ma anche intimorito, nei confronti di una donna che, col tempo, egli stesso ci fa scoprire, amare ma anche odiare. Ci si imbatte in una scelta, che per quanto amara, fa fare i conti, ad ognuno, con se stesso, perché “quando si ama, si sceglie”.  

E’ interessante come la metafora del tango, senza escludere la milonga, diventi l’essenza per raccontare la passione, l’odio e il tradimento, non omettendo l’omosessualità latente. Di grande impatto emotivo sono le sequenze in cui Fernand impara da un carcerato argentino i passi della danza, per armarsi ed essere pronto alla lotta per la conquista di una donna, contesa dal secondino. Il contagio della passione, per mezzo di un ballo che diventa interesse di ogni uomo privato della libertà, ma non della passione e dell’amore, fa di tutti provetti ballerini. Ognuno, alla ricerca, in qualche modo, di quel movimento, ch’è l’andare verso l’altro, spesso trattenuto, errato, ma che, se liberato, non fa più smettere di liberarsi, anche in luoghi ameni e angusti come le nostre prigioni.

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