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La bicicletta verde

Regia di Haifaa Al-Mansour vedi scheda film

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La recensione su La bicicletta verde

di giancarlo visitilli
6 stelle

Wadjda è una bambina di 10 anni che vive alla periferia di Riyadh, la capitale Saudita. Nonostante viva in un mondo tradizionalista, Wadjda è una bambina amabile, ribelle, polemica ma ironica, ingegnosa e scaltra, che calza scarpe da ginnastica, ascolta musica rock, preferendola a quella della scuola, con i canti di gruppo dei versi sacri. Lei è decisa a superare i limiti imposti dalla sua cultura. Dopo una lite con l’amico Abdullah, un ragazzino del quartiere con cui non avrebbe il permesso di giocare, Wadjda mette gli occhi su una bellissima bicicletta verde, in vendita nel negozio vicino casa. Wadjda vuole disperatamente la bicicletta per poter battere l’amico Abdullah in una gara. Tuttavia la mamma di Wadjda, per paura delle possibili ripercussioni da parte di una società che considera le biciclette un pericolo per la virtù delle ragazzine, non permette che la figlia abbia una simile diavoleria. Wadjda decide quindi di provare a guadagnare i soldi da sola, consapevole che sua madre è troppo distratta per accorgersi di ciò che accade, occupata com’è a convincere il marito a non prendere una seconda moglie. Ben presto però i piani di Wadjda vengono ostacolati, quando viene scoperta a fare da “corriere” tra due innamorati. Giusto nel momento in cui sta per perdere la fede nei suoi progetti di guadagno, viene a sapere del premio in denaro per la gara di recitazione del Corano. Così si dedica completamente alla memorizzazione e recitazione dei versi coranici, e le sue insegnanti cominciano a vederla come una ragazza pia. La gara non sarà facile, specialmente per una “combinaguai” come Wadjda, ma la bambina non demorde. É determinata a combattere per i suoi sogni.

Un film che in parte racconta anche l’Italia, alle prese con una cultura fortemente maschilista e con un paese incapace di far passare, per più volte, una legge contro l’omofobia. E non si dica che la situazione è meno integralista nel nostro paese, perché, all’ordine del giorno, ci sono le notizie di donne picchiate, selvaggiamente, oltre alle decine e decine ammazzate, perché fortemente sottomesse ai loro uomini che “le ammazzano per amore”, o “per gelosia”… Quindi, questo bel film della regista araba, focalizza l’attenzione, non solo, sulla parità sessuale, e più in generale sui diritti di un popolo, vigilato da una “polizia religiosa”, come si ricorda nelle peggiori dittature, anche occidentali. Per cui, l’espediente della conquista di uno strumento come la bicicletta, diventa metafora di un desiderio ben più grande, ch’è la conquista e la voglia di libertà, di camminare, con le proprie gambe, rischiando anche ‘cadute’ e fuoriuscite di sangue.

Il film è stato girato dalla prima regista donna dell’Arabia Saudita, Haifaa Al Mansour, in un paese in cui la Settima Arte è vietata, tant’è che in questo paese non esistono ancora sale cinematografiche.

Tutto, nel film, diventa strumento di cambiamento e rivolta: dall’uso di scarpe poco ‘ortodosse’, per una certa cultura, come le Converse, che diventano anch’esse, come la bicicletta, emblema/oggetto/feticcio della società occidentale, di contro il costume islamico. La cosa più interessante del film è che non viene smantellato il sistema, piuttosto esso è posto sotto la lente d’ingrandimento, con occhio critico e giovane, da parte di Wadjda, irriso e quasi sabotato. Con atto coraggioso e quotidiano. Infatti, dall’inizio alla fine, quel che colpisce di ogni donna presente nel film è la costanza con cui conducono tale battaglia. In tal senso, molto complementari sono le figure della madre e della figlia: si tratta di due generazioni, dello stesso paese, con la stessa cultura e, sebbene, entrambe con una determinazione diversa, l’una dall’altra, la scelta finale della madre di regalare ciò che in un certo senso è proibito, è un invito ad incamminarsi, anche ‘pedalando’, verso quella che in ogni paese che si conviene, non tarda, prima o poi, ad arrivare. La primavera.

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