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Il più grande spettacolo del mondo

Regia di Cecil B. DeMille vedi scheda film

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La recensione su Il più grande spettacolo del mondo

di EightAndHalf
7 stelle

Prendete Freaks di Tod Browning, riconditelo vent’anni dopo con un’alta dose di kolossal e con molta meno cattiveria, e avrete The Greatest Show on Earth, penultima fatica di Cecil B. De Mille, uno spettacolare dramma circense dai toni puri ed evidenti, nei toni tipici del classicismo cinematografico. Se infatti mai il cinema ha avuto una sua epoca d’oro, un periodo storico in cui quasi automaticamente si volevano affiancare fantasia assoluta e dramma privato (senza che questo carattere drammatico distruggesse la carica fantasiosa), sicuramente il cinema di De Mille ha avuto in essa una sua parte fondamentale. Pur non essendo un capolavoro, usurato da un sessantennio (attualmente) che non è stato nobile e che l’ha relegato un bel po’ a necessità immaginative ferme agli anni Cinquanta, The Greatest Show on Earth mantiene comunque un ritmo in crescendo e personaggi straordinariamente ambigui e irrisolti, nonostante l’apparente monotonia delle dinamiche umane. Infatti volendo miscelare il tema ricorrente del The Show Must Go On e un possibile incontro fra sentimentalismo e passionalità individuali e celebrazione e ritualità collettive, sicuramente il kolossal di De Mille risulta ben calibrato, un posato resoconto di alcuni mesi di un tour di un circo, un microcosmo di piccoli grandi sogni, in cui i personaggi entrano e escono di scena su elefanti e con brutte cadute dai trapezi, sani o pieni di lividi, cambiando rilevanza, ruolo, carattere, sentimenti. Non è caos, tutto questo, o, se vogliamo, è il referente caratteriale del “caos ordinato di azioni piccoli e grandi” che permettono di ricostruire le immense strutture circensi di volta in volta necessarie agli spettacoli della compagnia itinerante (strutture ricostruite tramite passaggi illustrati in maniera quasi documentaristica da una voce narrante che crea parentesi dalla trama normale, dando al film una struttura narrativa più particolare di quanto sembri); la sceneggiatura piuttosto riesce a far spostare la nostra simpatia di volta in volta di personaggio in personaggio, finisce per prendere raramente una posizione netta (con il clown di James Stewart, contro uno dei due attentatori del treno, perché anche il secondo cerca all’ultimo momento di salvare la compagnia dalla catastrofe), dimostra la caducità e la debole fortezza dei sentimenti umani. Tra gelosie, rancori, gare di abilità che diventano innamoramenti e ripicche che diventano sentimenti sinceri, c’è forse una tendenza a ristabilire tutto (il clown dovrà scontare i suoi anni di carcere, nonostante l’animo nobile), ma c’è anche la volontà di spiazzare continuamente uno spettatore negli anni ’50 abituato a tinte definite, non a personaggi tanto cangianti come i due protagonisti maschili. E se viene celebrata anche la purezza dei sentimenti, come la purezza dello spettacolo circense (la proiezione dello spettacolo cinematografico, quindi un intento meta-cinematografico), d’altra parte si vuole attuare una profonda enfatizzazione della necessità del sogno, che allontani i drammi contingenti. A voler anche esagerare, dalle lunghissime scene delle performances dei trapezisti e degli acrobati, in cui spalanchiamo gli occhi e temiamo che prima o poi (come accade) qualcuno si faccia male, si può anche estrarre una curiosa riflessione sulla natura della massa, che fruisce allo stesso modo di un evento omologandosi, ride e piange tutta insieme, in nome di un’unità che però per De Mille è la condivisione dell’illusione, e che invece oggi riterremmo pericolo per l’individualismo. C’è una forte carica eversiva nella necessità dello “spettacolo che deve a tutti i costi continuare” (una carica eversiva che arriverà al punto di rottura nel finale dell’altmaniano Nashville), ma De Mille non se ne accorge, non arriva a simile conclusione ante litteram, e preferisce far coincidere, talvolta ma non per tutti, il sogno con la realtà, seppur tra feriti e ammaccati. Oggi quindi guardiamo The Great Show on Earth con un occhio di rispetto per l’importante regista e la complessità delle dinamiche emozionali e caratteriali, ma il contenuto fondamentale non siamo in grado di condividerlo, e ci limiteremo a goderci un sogno che forse solo nel cinema di allora, sincero nonostante tutte le (evidenti) ricostruzioni in studio, sapeva essere vero e condivisibile. 

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