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La città ideale

Regia di Luigi Lo Cascio vedi scheda film

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La recensione su La città ideale

di michemar
8 stelle

Proprio come scrive Kafka, c’è da un lato la verità per tutti, la sentenza; dall’altro la verità soggettiva che diamo per scontata e che invece ha bisogno di un cammino. Bravo! Proprio bravo Luigi Lo Cascio al suo esordio. Ha portato la poesia del teatro al cinema con una leggerezza come pochi sanno fare.

 

 

Bravo! Proprio bravo Luigi Lo Cascio al suo esordio. Ha portato la poesia del teatro al cinema con una leggerezza come pochi sanno fare. Ha portato il suo stile calmo e la recitazione precisa e scandita dalla sua tipica dizione asettica e priva di influenze regionali, particolare che è oggetto perfino di una bella scena tra lui, il protagonista, e un graduato poliziotto dal marcato accento catanese, che glielo fa notare. Un film fuori dai soliti schemi delle pellicole non solo italiane, con una storia che sembra banale e che banale non è, anzi è molto profonda dal punto di vista morale. Un thriller morale di stampo kafkiano che si dipana piano piano quando lo spettatore crede di trovarsi davanti ad una storia di vita ordinaria, di un tipo ordinario che tanto ordinario e comune non è.

 

 

Michele Grassadonia è un ecologista così convinto che in casa non ha neanche la corrente elettrica e l’acqua corrente, fa parte di un movimento che predica il risparmio energetico e la perfetta azione della raccolta differenziata: il guaio è che tutto ciò è più di una scelta di vita, è una fissazione maniacale. Questa sua attenzione alla natura si rispecchia anche nelle relazioni umane, dove odia mentire e preferisce la semplicità, la trasparenza, in pratica la verità.

 

 

Già, la verità. Tutta la storia gira attorno al concetto di verità, tanto che l’avvocato del protagonista rimprovera quest’ultimo proprio perché questi cerca di difendersi dall’accusa di omicidio colposo in cui è invischiato rispondendo in maniera ingenua e candida, convinto che solo dando al Pubblico Ministero risposte sincere se la possa cavare. Invece l’avvocato gli fa notare che “il cervello degli uomini va sempre alla ricerca della realtà, non della verità”. E questo la dice lunga sull’essenza e la morale della storia raccontata da Lo Cascio, anche sceneggiatore.

 

 

Tutta la trama è basata su un presunto incidente stradale nella periferia di Siena in cui il protagonista, con la macchina elettrica prestata dal suo amico, investe “qualcosa” di non ben definito: potrebbe essere un noto personaggio cittadino che giace riverso sul ciglio della strada oppure… Oppure può essere stato qualcos’altro, ed è per questo che Michele Grassadonia cerca di ricostruire mentalmente l’incidente e capire cosa esattamente gli è capitato. Ad aiutarlo e risolvere, almeno secondo la “sua verità”, il caso è la visita al Palazzo del Comune in Piazza del Campo, dove avrà un lampo chiarificatore. Forse.

 

 

Proprio come scrive Kafka, c’è da un lato la verità per tutti, la sentenza; dall’altro la verità soggettiva che diamo per scontata e che invece ha bisogno di un cammino. Michele è troppo semplice e testardo, ha una mente logica (è architetto) e nella sua schematicità non capisce come mai la giustizia, e in essa il magistrato, non riesca a vedere ciò che è lampante nella sua mente. Trova illogico avvalersi della facoltà di non rispondere, non ha nulla da nascondere. Basterebbe la scena in cui Michele entra nel tribunale di Siena e chiede informazioni ad un dipendente: “Ma lei cosa ha fatto?” “Niente!” “E allora?”

 

 

Perfetto come sempre Lo Cascio, sorprendente sua madre Aida Burruano (nella vita e nel film), che lui ha voluto appositamente per creare il giusto clima familiare. Bravi tutti gli altri, con menzione speciale per Pubblico Ministero, Alfonso Santagata e per lo zio (ovviamente come nella vita e nel film) Luigi Maria Burruano. Una menzione a parte per la solita bravura di Roberto Herlitzka, che parla (uno dei pochi in realtà, anche se ambientato a Siena) uno schietto toscano anche se lui è torinese di nascita, ma fa il perfetto “cavallaio” in una fattoria nella campagna senese, con tanto di detti dialettali.

 

 

Gli unici particolari di Michele Grassadonia che mi hanno lasciato perplesso sono l’utilizzo di un rasoio elettrico in una casa senza elettricità e fatto funzionare tramite una bicicletta che genera energia con la dinamo (mi son detto: non poteva utilizzare la lametta?) e il possesso di un telefono cellulare. …E come lo ricaricava? Vabbe’, il film merita un voto alto perché è quasi perfetto, ben recitato e con una sceneggiatura che in Italia non si sente mai, bellissima. Ma anche perché Luigi Lo Cascio ha eletto Siena, città dove risiedo, come città ideale.

 

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