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Via Castellana Bandiera

Regia di Emma Dante vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Via Castellana Bandiera

di giancarlo visitilli
6 stelle

Dopo i cow-boy gay di Ang Lee, eccole le due car-girl di Emma Dante, alle prese con un western moderno, ambientato in un deserto cittadino, come può diventare una popolatissima via palermitana che dà il titolo al film.

La prima regia, al cinema, di una delle attrici, registe e scrittrici più prolifiche del teatro italiano, dal cui omonimo romanzo è stato tratto questo film, si svolge durante una domenica pomeriggio, a Palermo. Il vento di scirocco scioglie e asseta bestie e umani. Nel traffico ci sono Rosa e Clara a bordo delle proprie auto. All’improvviso si trovano in Via Castellana Bandiera. Nel contempo, in quello che sembra essere uno spazio governato dal caos, arriva, dal senso contrario, un’altra macchina, guidata da Samira, con a bordo tutta la famiglia Calafiore.

Mentre sullo sfondo, appare in tutta la sua naturale bellezza Palermo, che non nasconde i problemi che la circondano, nelle case private e nelle strade di tutti succede di tutto. Come per Rosa, che  torna a Palermo, città da lei odiata, solo per accompagnare sua figlia, Clara, al matrimonio del suo miglior amico. Tornare in via Castellana Bandiera, per Rosa, vuol dire ricordare un periodo drammatico della sua vita, di quelli che si vorrebbe cancellare.

Come nei migliori di Leone o film western di Eastwood, l’incontro fra le due auto e le due donne, Rosa e Samira, è una resa dei conti, un faccia a faccia: Rosa vede in quella figura di donna del passato, una madre; Samira è come se vedesse in lei un ricordo da ‘riagganciare’ alla propria memoria, ma per disfarsene definitivamente, attraverso la sua stessa ostinata e silenziosa presenza/assenza.

Via Castellana Bandiera è un film che ha un incipit da grido, magnetizza, senza confondere. I resti di lapidi e quel che rimane nel fondo di un mare, in cui tutto è ancorato, hanno la valenza della ricostruzione di una memoria che altrimenti non avrebbe materiale. Anche le tombe vacanti, sono abitate o da presenze umane, che ne hanno cura, oppure dalla solitaria assenza, come le illagrimate sepolture care al poeta, in cui ci sente ‘soli come cani’. Abbandonati.

Attraverso una macchina da presa utilizzata come nel miglior documentario realistico, con inquadrature semplici e un’ottima fotografia, tutta la prima parte del film scorre e ammalia. A differenza della seconda, in cui qualcosa si perde per strada. Tuttavia, basta arrivare alla fine della strada, proprio su quella via Castellana Bandiera, per rimanere, alla fine, soli con se stessi, perché tutti accorrono lì dove si sta consumando l’epilogo di un duello, e noi, in sala, si rimane, soli, in strada, alla presenza di due piccioni che beccano, qui e lì, con negli orecchi un pezzo musicale, quello dei Fratelli Mancuso, “Comu è sula la strada”, che dà i brividi, commuove e accompagna il nostro dolore, per la perdita di un’assenza, perché, nel film, Samira è assenza, del cui silenzio ci siamo beati per tutta la durata dell’incontro. La Coppa Volpi di Venezia 2013, Elena Cotta, attrice straordinaria, giustamente premiata, ma non credo solo per la sua recitazione in questo film, che non è nulla, rispetto a quanto continua a dar prova per mezzo della sua vasta produzione teatrale.

E’ evidente che l’impianto generale del film è sostenuto da una solida idea di fondo, lì dove è facile comprendere come l’interesse non è tanto per l’ambiente e i suoi personaggi, ma per la condizione interiore, esistenziale, che raccontate in una via popolare come quella del titolo, descrivono una dimensione ch’è universale, popolare, cosmica. Tutti quelli che abitano dentro e fuori gli abitacoli, le abitazioni e in strada vivono una condizione di grande pessimismo e di inerzia. L’unico modo per giustificare la seconda parte del film, che per la sua prolissità e durata, finisce per rendere il ritmo, certi personaggi e certe dinamiche senza quella piena evoluzione che avrebbero meritato. Tant’è che, alla fine, la sensazione è quell’insoddisfazione di un lavoro a metà. 

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