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Il principe abusivo

Regia di Alessandro Siani vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Il principe abusivo

di M Valdemar
2 stelle

In fondo, c'è speranza.

Ogni favola ha la sua bella morale.
Quella de Il principe abusivo, trascende la finzione per abbracciare di letizia e sogni tutti: se persino Alessandro Siani può fare il “regista”, “dirigere” un “film” [orbene, le povere virgolette non possono trasmettere il senso della repulsione per l’eufemismo: occorrerebbero caratteri speciali, che ancora non sono stati inventati o inviati dagli alieni assieme al loro codice genetico], allora chiunque, ma veramente chiunque, ma veramente chiunque [anche la ripetizione affievolisce la sua funzione] può farlo.
Ciò per dire, come solo lo scaltro ed attento lettore avrà capito [ironia portami via], che, posta un’aspettativa bassa, bassissima per la “fatica cinematografica” del Nostro, quello che scaturisce della visione si mangia in un sol boccone le basse, bassissime attese per precipitare gaudente nella discarica più fetida, immonda delle commedie nazionalpopolari (laddove abitano da tempo altri campioni del dilettantismo e del becerume, filmico ed in generale).
Brevemente, la “storia” è così ridicola, stantia, fuori dal tempo dai tempi e di anguria (che va mangiata rigorosamente ‘a pitoffo’), così maldestra modesta e molesta, che la puzza di putrefazione invade lo schermo e pervade la sala. Finanche cinquant’anni addietro ne avrebbero provato pena (sì che erano ben abituati da pellicole medio-basse di un certo valore, oggi irraggiungibile), deriso - e non riso, corbezzoli! - il “film” ed infine rinchiuso anzitempo all’ospizio gli “autori” di siffatto scempio.
Il principe abusivo non regge nemmeno per una frazione di secondo, nemmeno per un fotogramma, ma nemmeno per sbaglio o per la legge dei grandi numeri, e la malcelata “perplessità” è ben stampata in faccia, ad esempio, dell’incredula [si aggiungano tutti i sinonimi disponibili in rete] Sarah Felberbaum, la quale deve sforzarsi non poco (come quando la stitichezza non vuol proprio saperne di abbandonare la retta via) per non scoppiare a ridere, o a piangere, o ad invocare gli spiriti maligni.
La “sceneggiatura” (roba da alunni pluri-ripetenti di quinta elementare) ribolle di battut(acc)e moscissime e risapute che si affidano esclusivamente alla ‘napoletanità‘ verace in contrasto con la rigidità aristocratica (ma bastava con qualsiasi essere ‘normale’), per non parlare di come è gestito lo sviluppo della “moderna” favola amorosa, così pieno di inverosimiglianze, di buchi, di banalità a buon mercato (del pesce andato a male secoli fa).
Ogni situazione è risibile, farsesca all’ennesima potenza, ed ogni personaggio è una macchietta improponibile. Siani fa quello che deve fare (qualsiasi cosa sia, ma in simpatia) facendosi accompagnare dal ciambellano ciambellone buffone di corte Christian De Sica, che si limita e si diverte a riproporre il suo (tristemente noto) repertorio. I loro duetti “brillanti”, presi (scopiazzati, pure male) qua e là, non suscitano risate ma solo fastidio che presto tramuta in noia e sonnolenza vicina allo stato comatoso irreversibile. Sui comprimari inutile soffermarsi: la “mano” sempre quella è.
Si dirà che c’è di peggio. Vero: al peggio non c’è mai fine, non esistono più le mezze stagioni, c’era una volta gente capace che faceva il cinema. Al che sorge spontanea (come un batuffolo di capelli sulla testa di un glabro) una domanda: c’era bisogno di un’altra insulsa commedia? No, ovvio. Ma suvvia, che snob, siamo nel “belpaese“: un bel condono e l’abuso è bello che perdonato - anzi, incentivato -, e l’incasso assicurato, guagliò.

 

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