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Disconnect

Regia di Henry Alex Rubin vedi scheda film

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La recensione su Disconnect

di EightAndHalf
3 stelle

Oggi che siamo sempre connessi, ci sentiamo soli più che mai. Opera a tesi, opera a tesi, ti invoco! Non c'è niente di più deprimente di ritrovare sempre gli stessi errori e sempre le stesse pecche, tanto che potrebbe nascere una nuova tendenza (magari già presente, ma poco di moda), quella di classificare certi film secondo i loro difetti più frequenti, quelli addirittura poco utili, che si ritrovano più frequentemente. Nel caso di Disconnect i difetti si dispongono secondo una triste catena di casualità, non tanto un effetto Domino quanto una successione pigra, a cui siamo ormai assuefatti, di esagerazioni, moralismi e generalizzazioni. Ed è una catena "triste" perché distanzia il film anche da quelli che, nella loro mediocrità, si distinguono, e mantengono una loro (becera) originalità. Perché oggi i film che fanno indignare sono di moda, piacciono, vengono addirittura classificati come migliori film dell'anno in tediosi tentativi pubblicitari, ma spesso si trascinano, per le loro due autoriali ore di durata, per stabilire, punto e daccapo, requisiti e fondamenti di una cinematografia triste, monca in partenza, prolissa nel senso più basso del termine. Tanto siamo assuefatti a simili errori da o non riconoscerli affatto o arrivare ad affermare che "sicuramente c'è di peggio", in un atto di umile rassegnazione. Ed è effettivamente c'è di peggio, rispetto a Disconnect, perché come in molti altri casi nessuno potrà arrivare a dire: "non sono d'accordo con certe affermazioni, non sono d'accordo al dato tono utilizzato in quel caso e non sono d'accordo con la plausibilità delle conseguenze di quella data circostanza", perché indignarsi fa sempre bene, per carità, ma non sempre è costruttivo, e perché le intenzioni possono anche fermarsi e rimanere tali, senza partire per una tangente (magari!) e arrivare a dire qualcosa di veramente nuovo che non abbiamo già sentito fra giornali, scuole, corsi di sicurezza e orazioni televisive. Internet e le sue insidie.
D'accordo, stiamo attenti ad Internet, non sia mai celebrarne le potenzialità, guardiamo sempre e soprattutto agli errori. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: d'altronde le idee del gruppo di sostegno per persone sofferenti, come anche quelle di certi social network, possono (e il film non lo nega direttamente) essere utili anche a tenere i contatti da un posto all'altro del mondo. Il vero problema è la distanza dalla realtà, da quell'ordine di situazioni che l'umanità vanta fin da quando esiste e che iPhone, tablet e smartphone (e chi non ne ha almeno uno in questo film? Anche colui che meno guadagna in una casa-bordello di porno-attori improvvisati di fronte alle SexLiveCam delle insidiose chat roulettes), con molti altri gadget, destrutturano e rimodellano a loro piacimento, inserendoci direttamente nel flusso di quella globalizzazione virtuale che ci tiene tutti connessi. Niente di tutto questo, che è ciò che importa, è presente però in Disconnect. Ma si potrebbe rispondere altrimenti: non è questo l'obbiettivo del film. Niente avrebbe vietato a Rubin di parlare dell'unico vero problema davvero universale che condiziona l'intera umanità, ma se il suo intento era quello di parlare di situazioni limite e assolutamente particolari di persone lontane e generalmente piatte, cerchiamo di adattarci, perché mai vanno confutati i presupposti, ma le conclusioni. Allora partiamo dall'idea che Rubin abbia avuto il semplice interesse di intessere queste tre storie di quotidiana follia per raccontare come i giovani (e anche gli adulti) possano cadere nelle insidie del Web, o possano in generale creare rapporti falsi con gli altri attraverso falsi nickname, attività hackeristiche specializzate e webcam invasive. Dietro quegli schermi però rimangono delle persone, persone in carne ed ossa che soffrono o si autoannullano nella loro totale inerzia, i giovani senza alcun interesse nei confronti del proprio futuro (e abbastanza [in]stupidi[ti] dal Web), gli adulti nella lenta consapevolezza di avere avuto un ruolo portante nella crisi morale dei loro figli, tanto che è anche la famiglia a uscirne in crisi (un Alexander Skarsgard che smette di interessarsi alla moglie e una moglie che, in tutta risposta, cerca, con tutta la nostra "compassione", consolazione in un sito internet che non può far altro che allontanarla ulteriormente dal marito: povera donna), come anche i semplici rapporti umani, che si rivelano successione triste e scontata di sfruttamenti e di profitti illeciti. Così come l'hacker sfrutta i sentimenti della donna che ha perso il figlio per, appunto, sfruttarla e rubarle i soldi (o almeno così si crede all'inizio), e così come i bulletti sfruttano lo sfigato emotivo di turno per godere della loro superiorità e la giornalista è combattuta fra lo "sfruttamento" e l'"empatia" di/con un giovane ragazzo senza futuro che guadagna poco e niente con le videochat erotiche, allo stesso modo sembra che Rubin "sfrutti", proprio come un giornalista, i drammi umani per renderli su misura di una spettacolarizzazione che si faccia portavoce del moralismo più abietto e dei drammi più falsi e programmatici, fin troppo costruiti per sbavare anche in una sola inquadratura, neanche quando la regia diventa mossa per simulare autorialità e importanza, e fin troppo particolari per ledere veramente  nessun spettatore (e nessun abitante di questo globo), mettendo chiaramente d'accordo tutti sui comportamenti (le finte ambiguità di certe dinamiche emozionali sono facilmente risolvibili) e non facendo scattare neanche un attimo l'empatia con un gruppo di protagonisti uno meno interessante dell'altro, senza personalità, senza vera vitalità e interpretati sottotono da un cast decisamente fuori forma. I palinsesti televisivi nostrani offrono soggetti ben più "vivi" e veritieri, ed è quanto dire (ovviamente si tratta di una sgraziata iperbole).
Il risultato è davvero antipatico: le due ore sono superflue, il finale al ralenti non fa attecchire la tensione perché non ci frega tanto se la giornalista viene colpita o il ragazzino si fa male, e possiamo uscire dalla sala con la mente rinfrescata da un film che sicuramente ci ha detto qualcosa di giusto. Che sta però lontanissimo dall'Arte e dal Cinema, senonché dalla più semplice forma di intrattenimento.

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