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Camille Claudel 1915

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su Camille Claudel 1915

di Bebert
8 stelle

Camille Claudelle (1864 – 1943) è stata prima modella, poi scultrice autonoma nel periodo della fama di Auguste Rodin. Del più importante scultore francese dell’ottocento è amante, allieva e poi perfino rivale; perché la sua autonomia, in quell’arte era palese, ma alle donne poco spazio era riservato. Rodin, come tanti altri artisti di quel periodo, non va compreso ammirando la sua produzione artistica, le opere vanno da una parte, l’uomo da un’altra, ben diversa. Rodin, per esempio, non si schierò nell’”affare Dreyfus”, temeva di perdere la fama, la committenza. Rodin uomo, non è Zola, che per essersi lodevolmente schierato, è accusato di tradimento e costretto all’esilio.

Somigliante il caso di Camille Claudel: vittima di un macchinazione tragica, lei, così spregiudicata ed anticonformista è presa e strappata dal mondo che frequenta. Non è ancora adatta, evidentemente, perché solo agli uomini sono permesse certe eccentricità; a lei è più consona una diagnosi d'anormalità come malattia. E il potere esercitato in nome della scienza o della religione è quello del disporre di rimuovere dalla società queste “anomalie”. Il sapere-potere mette a tacere chi non si vuol ascoltare e in questo caso, da tramite fanno i parenti, la famiglia. Il “luogo” in cui si trova il primo e più stabile rifugio, si trasforma nel ponte verso la reclusione.

Dopo anni movimentati, nella Parigi-Capitale dell’arte, si aprono le porte della segregazione. Si chiudono e non si riapriranno mai più.

Il fratello minore di Camille, Paul, è sospinto dalla fede in un Dio infallibile del quale egli si fa portavoce: in fondo si sostituisce a Dio e la sua volontà ci appare quasi delirante. Questo, in lampante contrasto con la sorella, ben più attaccata alla realtà ed alla verità dei fatti. Ma anche somigliante, quando è lei a dubitare d'essere avvelenata e manca d'obiettività.

Jiuliette Binoche interpreta al meglio la parte e recita con chi non recita. Alcune pazienti del manicomio di Ville-Evrard sono effettivamente persone soggette a disagi psichici o patologie e questo ancor più acuisce quello che può essere stato il dramma della Claudel, espresso in tante lettere spedite inutilmente.

Il regista Bruno Dumont coraggiosamente ci mette di fronte alla finzione cinematografica ma anche ad un documento reale, vero e tutto si amalgama nel desolato paesaggio e negli ambienti disadorni, silenziosi, solo popolati dalle voci inquiete delle pazienti.

La speranza che Camille ripone nel fratello è tradita: Paul Claudel è deciso nel mettere dinanzi ad ogni cosa la propria carriera di poeta e diplomatico e a nulla vale l'opinione del medico responsabile dell'ospedale che l'isolamento potrebbe essere interrotto.

Nel film pare dunque che la scienza abbia umanità, ma nulla può se anche una madre rifiuta la figlia, perché ha osato infrangere l'onore della famiglia. Anche qui l'onore, anzi, il decoro esteriore viene prima di tutto, prima degli affetti e dei sentimenti e il giudizio degli altri schiaccia ed annebbia le coscienze. 

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