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After Earth

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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La recensione su After Earth

di mck
6 stelle

Boh (ch’è la media fra un “Bah!” e un “Beh!”).

 

Le premesse per un’apocalittica catastrofe c’erano tutte, ovvero: Quel che i Maya non dicono (mai fidarsi dell’escatologia mesoamericana).

- 2012” di Roland Emmerich (2009) ***/***¼ - 6.25
- “Clous Atlas” di Lana & Andy Wachowski e Tom Tykwer (2012) ***½ - 7.00
- “Oblivion” di Joseph Kosinski (2013) *** - 6.00
- “After Earth” di M. Night Shyamalan (2013) ***¼ - 6.50
- “Elysium” di Neill Blomkamp (2013) ***¼/½ - 6.75

 

 

Non è brutto, ma anonimo, “After Earth”: è il classico film (“the MidNight Sky”) da una cosa “Ok!” (durante il passaggio “attraverso” il wormhole appena “creato” l’astronave porta con sé una manciata di asteroidi) e una schiera di “Hm?”, che principiano dalla fine : al termine dei titoli di coda principali, prima del rullo verticale dei crediti complessivi, all’apparire del nome del regista, come cazzo ci è finita l’Africa sulle coste del Nord America? E non è un caso: poco prima viene mostrato un altro spicchio planetario nel quale la porzione sud dell’Antico Continente s’era già staccata dalla Penisola Arabica. Le spiegazione è una sola, senza, ma soprattutto con, accento grave: il wormhole li ha spediti avanti nel tempo (e così è risolta anche la questione del ritorno a casa: hanno semplicemente impostato Google Maps con “inverti rotta” verso l’antropocene olocenico di Nova Prime: no, no farò battute sulla consegna pacchi semi-gratuita, né su come sia poco lungimirante chiamare una stella Nova) di 50/75 milioni di anni [e inoltre nella “giusta” direzione e distanza nello spazio: magari le coordinate del “pianeta segreto” erano codificate in qualche sub-routine del sistema di navigazione e uno scossone e/o un sovraccarico troppo forti le hanno innescate come destinazione, ma a questo punto bisogna tirare in ballo il fatto che in quella vagonata di milioni di anni tutte le coordinate galattiche sarebbero cambiate peggio che il piano regolatore di Napoli (o Roma, o Milano) in “le Mani sulla Città”], e questo magari può spiegare il condor-aquilavvoltoio gigante e le mega-iene irsute (se si considera un lungo periodo di latenza, quiescenza e diapausa dovuto alla inabitabilità planetaria causata da Homo s. sapiens), ma non come abbiano fatto i cinghiali, dopo la Presa di Roma, a rimanere uguali a sé stessi per metà del tempo che ha dovuto impiegare un topastro giurassico per trasformarsi in Diego Fusaro (tutta fatica sprecata, certo, ma questa è un’altra storia): vero è che una specie dominante qual è Sus scrofa attila [oh, ha sconfitto Rutelli, Veltroni, Alemanno, Marino (no, ok, quello è stato fuoco amico umanoide), Raggi e Gualtieri, eh] non ha alcun bisogno di evolversi dato che le è sufficiente crapulare e copulare. Piccola questione rimasta in sospeso: peccato solo che sol per una cosa: la deriva dei continenti mossa dalla tettonica a placche/zolle spinge le Americhe e l’Eufrasia… in direzioni opposte (e no, non hanno fatto il giro opposto…).

Altra opzione: non c’è stato alcun viaggio nel tempo, ma solo nello spazio, e in un solo millennio -{la zona di sbarco potrebbe rassomigliare, data la vegetazione e la fauna (a parte la questione "bestie fuggite dalla cattività che colonizzano zone del pianeta al di fuori del loro areale di distribuzione), a una porzione del Sud Africa [a parte il fatto che in quella zona non ci sono vulcani attivi (e difatti i prevalenti esterni sono stati girati in California - perché quello stato contiene il mondo, dicono ad HollyWood - e, per la questione vulcanica, in Costa Rica), e non ci saranno nemmeno fra un migliaio di anni: però fra qualche milionata, chissà], tipo le foreste continentali (temperato-montane) sull’orlo oceanico della Grande Scarpata (“Gaia”), già di per sé un ecotono naturale, anche se non raggiunge certo le estreme differenze climatiche giornaliere presenti nel film}- la biosfera terrestre non solo si è ripresa e stabilizzata (pur con un livello di ossigeno inferiore), ma persino evoluta, e in alcuni casi in maniera alquanto pazzerella operando con delle accelerazioni inspiegabili su scala umana. Boh. (Propenderei per l'ipotesi "spostamento nello spazio e non nel tempo", con la Terra che si è ripresa ed, ehm, "evoluta velocemente" in solo una decina di secoli.)

 

Fotografia di Peter Suschitzky, cronenberghiano di ferro (senza soluzione di continuità dalla fine degli anni ‘80 alla metà degli anni ‘10) dalla carriera sterminata [ha impressionato e inquadrato opere di Peter Watkins (Privilege), Joseph Losey (Figures in a LandScape), John Boorman (Leo the Last), Ken Russell (Lisztomania), Tim Burton (Mars Attacks!), Matteo Garrone (il Racconto de Racconti), più “the Rocky Horror Picture Show” e “Star Wars V: the Empire Strikes Back”], montaggio di Steve Rosenblum (sua è la parte tecnica meno convincente) e musiche di James Newton Howard, storico sodale del regista a partire da “the Sixth Sense” e ininterrottamente sino a quest’occasione, che ad oggi è la loro ultima collaborazione. Completano il cast Sophie Okonedo e Zoë Kravitz.

 

E tutto questo, solo per “non” parlare del film, che, a parte… tutto questo, è carino, e financo bello in alcune occasioni, e che si può considerare, da un certo e particolare aspetto, come un prosieguo di “the Last AirBender”: se il film che il regista di almeno tre “capolavori o quasi” quali “the Village”, “Lady in the Water” e “Unbreakable” ha scritto (traendolo parzialmente dalla prima stagione, “Water”, della serie animata “Avatar”), prodotto e diretto “pensando” ai sui figli in età di scuola dell’obbligo, questo successivo “After Earth” [basato s’un soggetto del protagonista Will Smith - che co-produce con la moglie Jada Pinkett - scritto su misura per il figlio Jaden (uno dei punti deboli del film), che qui torna a lavorare col padre dopo la prima parte della parentesi princeofbelair-statunitense mucciniana] è sicuramente dedicato alla più tarda età adolescenziale.

 

Nota a margine: i due film peggiori del regista post-“the Sixth Sense” compreso (escludendo quindi gli esordi di “Praying with Anger” e “Wide Awake” e i due serial che ha co-prodotto esecutivamente e per i quali ha curato una manciata di regie, senza scrivere una sola riga degli script: il fallimentare “WayWard Pines” e l’inspiegabilmente ben accolto “Servant”) sono gli unici che, se pur completamente sceneggiati da lui (qui con Gary Whitta), partono da un’idea iniziale a lui estranea, ovvero: tutta la differenza tra "Un film di..." e "Un film diretto da...".

 

Dicevo: boh (ch’è la media fra un “Bah!” e un “Beh!”). 

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