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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di nickoftime
8 stelle

La storia di una nazione è composta da passaggi epocali e da momenti fondativi che ne determinano la fisionomia culturale, politica e sociale. Tra questi la questione razziale, seppur formalmente superata da leggi e stili di vita ormai consolidati, rappresenta per gli Stati Uniti d'America un caso ancora aperto nel processo di normalizzazione del paese. Una ferità che continua a sanguinare, e su cui il cinema americano oggi torna ad insistere, mettendo insieme a breve distanza di tempo "12 anni schiavo" di Steve McQueen, appena uscito nelle sale, e "Fruitvale Station" prossimamente sugli schermi. Differenti per possibilità produttive, stili di regia e collocamento temporale, i due film si sovrappongono alla perfezione nel loro epilogo, affermando la volontà di un sistema che sia nel caso di Solomon Northrup, il protagonista del film di McQueen, segregato ingiustamente pur essendo un uomo libero, che in quello di Oscar Grant, ucciso dalla polizia senza apparente motivo, ha lasciato inpuniti gli autori del misfatto. Del film di Ryan Coogler ci sarà tempo per parlare, ma quello che in questo spazio si voleva evidenziare è l'estrema attualità di "12 anni schiavo", lungometraggio che utilizza la Storia (l'azione della vicenda si svolge nell'America schiavista del 1841) per parlare del presente.


Tratto da una storia vera, raccontata dallo stesso Northrup nell'omonima autobriografia, "12 anni schiavo", questo è bene dirlo, è l'opera di un regista abituato a lavorare in una dimensione artistica lontana dai clichè hollywoodiani. La scommessa in questo caso era quella di vedere in che modo lo sguardo di McQueen si sarebbe adattato agli standard imposti dall'industria americana. In questo senso "12 anni schiavo" nello suo sviluppo narrativo non si discosta dagli altri film del filone. Nei 134 minuti di durata del film, assistiamo perlappunto ad un'odissea coinvolgente e drammatica, che attraverso il calvario di un figura cristologica denuncia le angherie e la crudeltà degli oppressori. Un ortodossia leggittimata dalla pioggia di nomination tributate dai membri dell'Academy, che però non impedisce al regista di lasciare la sua firma tanto nei contenuti quanto nella messinscena. Nel primo caso McQueen toglie al film una buona dose di pietismo, affermando un punto di vista, quello di Northrup, che prescinde dalla coscienza di classe e dalla condivisione di un destino comune a cui solitamente Hollywood si aggrappa per commuovere lo spettatore. Una dimensione che si irradia sul paesaggio, e che la scena dell’impiccagione mancata afferma attraverso l'indifferenza del contesto in cui la stessa si svolge. Un atteggiamento che "12 anni schiavo" in parte si rimangia nella sua parte conclusiva, quella che a partire dall’entrata in scena di Brad Pitt con il suo sermone antirazzista,  riporta il film nell’alveo di una convenzionalità più marcata. Del secondo invece basterebbe la sovrapposizione tra i fotogrammi della messa celebrata dal Padrone, con il sonoro proveniente dalla scena precendente che fa sentire il grido di sofferenza dei suoi sottoposti. Sintesi perfetta della coscienza di una Nazione fondata sul diabolico patto tra religione e capitalismo, già trattato ne “Il petroliere” di Paul Thomas Anderson, che in questo caso Steve McQueen suggella, splendidamente, in una sequenza esemplare ed unica. La perfezione, o quasi. 
(pubblicata su icinemaniaci.blogspot.com)

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