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Enemy

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Enemy

di Odradekk
7 stelle

Quella di Villeneuve è una forte presa di coscienza ed una sottile critica nei confronti di chi, lasciandosi dominare dagli eventi, dagli istinti e da una logica del parziale, vive nel costante, ma inconscio desiderio di ritrovare il centro e la propria unità.

locandina

Enemy (2013): locandina

 

(Contiene Spoiler) Da dove partire? Dai ragni? Dal sosia? Dalla mancata distribuzione in Italia? Dal fatto che al confronto Prisoners (stesso Villeneuve o quasi), distribuito dalla Warner Bros, è una “cagata pazzesca“? (citare Il secondo tragico Fantozzi è doveroso in questo caso). Potrei partire dalla fine a sto punto, oppure da Saramago. Quasi quasi mi metto a scrivere come fa lui: niente nomi, niente punti, virgole e maiuscole a caso…sembra tutto un gran pasticciaccio e invece si capisce eccome, perché come dice in epigrafe

“Il caos è un ordine da decifrare”

lo stesso vale per il film: bisogna decifrarlo. No, non mi metterò a farlo qui, ho già dato al tempo con Mulholland Drive e "per fortuna" (o sfiga sua) Villeneuve non è Lynch e in un’intervista ci spiega la trama del film: 1+1=1, tutto chiaro, no?

 

Enemy-Denis Villeneuve-Quel cinema invisibile

 

 

Prima di tutto Villeneuve è riuscito a fare quello in cui in passato tanti avevano fallito: portare sul grande schermo la rivisitazione in chiave cinematografica di un romanzo di José Saramago. Ci aveva provato ad esempio Fernando Meirelles con Blindness ma i risultati erano stati ben poco soddisfacenti. Troppo lineare, schematico, ben definito, tutto l’opposto della creatività geniale del portoghese premio nobel per la letteratura. Saramago è etere, è intrigo, è intreccio apparentemente scollegato, è tutto e il contrario di tutto, difficile riproporlo. Sicuramente Villeneuve, pur rimandendo piuttosto fedele al romanzo in sè, ne dà una sua personalissima interpretazione, rivisitandolo in chiave moderna. Enemy è quindi una rilettura dell’originale che prende vita e riesce, proprio nel momento in cui, intelligentemente, se ne distacca.

 

villeneuve vs saramago-quel cinema invisibile

 

 

Questa la storia vista dall’inizio: Adam (Jake Gyllenhaal) è un docente universitario di storia che vive una vita piatta e monotona a Toronto. Dopo ogni giornata di lavoro torna a casa, cena con la sua ragazza (Melanie Laurent), fanno l’amore fino a che lei tutte le volte si alza, si riveste e se ne torna a casa sua. Dal punto di vista psicologico Adam è un personaggio disconnesso, senza una personalità ben definita, interiormente diviso, spezzato, incompleto, privo di unità e coerenza. Un giorno, in sala professori, un suo collega fa una strana domanda dai toni vagamente lynchiani: “ti piace il cinema?” consigliandogli poi di vedere un film, Volere e Potere, dove Adam riconoscerà tra una delle comparse, il suo sosia (Anthony). Sconvolto dalla sorprendente scoperta, fa di tutto per mettersi in contatto con lui e dopo varie ricerche riesce ad incontrarlo. Anthony è un attore, vive anche lui a Toronto con la sua bellissima moglie incinta (Sarah Gadon) che tradisce. I due sono identici: stesso volto, stessa voce, stesse mani e persino stessa cicatrice. Forse sono fratelli, azzarda Anthony, così Adam, tra il terrorizzato e lo spaesato, corre subito a cercare spiegazioni nella madre (Isabella Rossellini) che sembra prenderlo poco sul serio. A pranzo gli offre dei mirtilli. Particolare da non lasciarsi sfuggire. I mirtilli infatti sono la soluzione.

 

 

Questa la storia vista dalla fine: Anthony è un attore che tradisce la sua bellissima moglie incinta da cui si sente sopraffatto. Per superare il trauma del tradimento e per la cronica incapacità di gestire una doppia vita, interiormente si distacca dal se stesso moralista e il suo inconscio decide di creare un altro da sé per separarsi, almeno psicologicamente, dal se stesso traditore, cadendo così in un oblio e uno sdoppiamento da cui solo con l’aiuto della moglie, riuscirà a “liberarsi”. Che poi questa sia effettivamente una liberazione oppure no, lascio a voi decidere. A mio avviso Villeneuve mette in luce quello che è il chiaro tentativo di un uomo di liberarsi dalle sue schiavitù, con conseguente dissacrante fallimento, dovuto all’incapacità quasi cronica dell’essere umano di venire a patti con se stesso, scandagliare il proprio io interiore e non accettare i propri limiti, ma farsi manipolare da essi.

 

La tela tessuta dalla moglie-tarantola nella mente del protagonista probabilmente è indistruttibile e come l’insetto che, caduto preda del ragno, imperterrito cerca di liberarsi, l’inconscio di Anthony cerca di ribellarsi alla soppressione e alla dittatura (argomento poi chiave delle sue lezioni in veste di professore-inconscio-Adamo). Nell’ultima scena Villeneuve ci mostra un Anthony con in mano una chiave, chiave che potrebbe essere l’unico modo per fuggire dal senso di oppressione dovuto ad un’abitudinarietà soffocante (vuoi dalla moglie, vuoi dalla responsabilità per quel bambino non ancora nato, vuoi dalla propria incapacità di prendere la propria vita e dargli una svolta creativa), chiave che potrebbe essere utilizzata per entrare nel suo subconscio, elaborarlo e ottenere la libertà di ricongiungersi con l’altra parte di sè e tornare ad essere non più due, ma uno.

 

Poster Enemy-chiave-ragno-cinema-invisibile

 

Tuttavia la scena finale del film ci riconferma un ritorno alla coazione a ripetere senza cognizione di causa ed effetto. Anziché scegliere di entrare nei meandri del proprio subconscio, Anthony ne rimarrà continuamente vittima, preferendo cedere all’istinto sessuale e tornare a compiere sempre gli stessi errori: stare con la moglie, continuare a tradirla, vivere per sempre diviso a metà.

 

Quella di Villeneuve è una forte presa di coscienza ed una sottile critica nei confronti di chi, lasciandosi dominare dagli eventi, dagli istinti e da una logica del parziale, vive nel costante, ma inconscio desiderio di ritrovare il centro e la propria unità. E così, come quell’insetto che viene immobilizzato e che cade vittima del terribile predatore, Anthony rimarrà vittima del richiamo dei sensi, di quegli istinti animali privi di consapevolezza intrinseca che lo riportano sempre al punto di partenza. Lo sguardo con cui alla fine guarda la moglie (tarantola) conferma ancora una volta la sua totale abulia e la rassegnazione nell’essere ciò che è e che non è in grado di evolvere: un essere umano che anzichè accettare i propri limiti e cercare di superarli, si lascia dominare da essi, e che preferisce quindi, porre empiastri sul dolore piuttosto che estirpare il male alla radice.

 

Villeneuve accompagna quindi lo spettatore nei meandri del subconscio maschile diviso tra sensi di colpa e libertà di essere se stesso. Ecco perché la figura femminile viene vista da un punto di vista piuttosto ristretto, quasi fosse o solo un oggetto da sfruttare sessualmente o una novella Aracne tessitrice di tela imbrigliante e in fondo omicida. Nella scelta della simbologia del ragno, non poteva mancare una citazione alla grande artista del 900 Louise Bourgeois e alla sua scultura, nonostante il regista canadese abbia completamente rovesciato il simbolismo intrinseco legato all’opera d’arte originale. La scultura (vista personalmente quando fu ospitata al museo Capodimonte a Napoli-è una cosa pazzesca, per me che soffro di aracnofobia poi…lascio immaginare) intitolata Maman (Mamma) ha un significato tutt’altro che inquietante, il ragno infatti riflette metaforicamente la cura e il nutrimento materno. Quel senso di protezione che viene invece vissuto dal protagonista maschile come soffocante e dittatoriale manipolazione emotiva femminile che priva di linfa vitale l’essere maschile.

 

        enemy villeneuve ragno-louise bourgeois-quel cinema invisibile              ragno louise bourgeois-enemy ragno-quel cinema invisibile

 

 

Di citazioni palesi come questa e apertamente dichiarate dallo stesso autore ve ne sono altre nel film, ma ve ne sono anche di molte nascoste, per esempio …

…c’è del Cronenberg in Enemy: il modo in cui viene descritta la città di Toronto, le inquadrature, i colori, le atmosfere austere e cupe da distopia del 900, richiama la stessa città in Crash; la simbologia del ragno ricorda naturalmente “Spider” e come non rivedere nel doppio Jake Gyllenhaal le angosce e la pazzia dei gemelli Jeremy Irons in “Inseparabili”...

 

Crash-Cronenberg-Enemy-Villeneuve-Cinema-Invisibile

 

 

c’è del Lynch

 

 

Chiave Mulholland Drive - Villeneuve Enemy - Quel cinema invisibile             blue velvet rossellini

 

 

e c’è del Polanski e del Kubrick in questo film

 

 

the tenant polanki-villeneuve enemy-quel cinema invisibile        kubrick eyes wide shut-villeneuve enemy-quel cinema invisibile

 

 

Ulteriore motivo per cui Enemy dovrebbe essere visto (rivisto) e dovrebbe uscire anche nelle nostre sale italiane. Inutile dire che non è stato distribuito. Ritengo sia uno dei migliori film di Villeneuve (e uno dei miglior thriller psicologici degli ultimi anni), sicuramente il più personale (e quindi anche più vero)…e sicuramente più di Prisoners che viceversa lascia molto a desiderare, poiché tralascia molti spunti interessanti da approfondire a favore di un scialbo tentativo di catturare lo sguardo dello spettatore medio (che tra l’altro è rimasto colpito a quanto mi sembra di ricordare) un mero prodotto hollywoodiano di seconda se non terza categoria. Certe cose mi fanno proprio innervosire.

Invisibile a malincuore

 

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