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Enemy

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Enemy

di maurizio73
6 stelle

Insegnate di storia depresso e abitudinario, scopre l'esistenza di un suo clone che fa l'attore e che vive tranquillamente con la moglie incinta nella sua stessa città. Incuriosito dai motivi di questa incredibile ed assoluta somiglianza, inizia a pedinarlo ed osservarlo, finchè non decide di incontrarlo direttamente. La scelta si rivelerà piena di imprevisti e di ferali conseguenze. Finale tragico.

 

locandina

Enemy (2013): locandina

 

Dal soggetto non originale del controverso romanzo 'L'uomo duplicato' del premio nobel Josè Saramago, il canadese Denis Villeneuve trae spunto per una incursione nei territori inesplorati di una dimensione sospesa tra realtà e fantasia, addentrandosi nell'universo misterioso e imprevedibile che governa i meccanismi della creazione letteraria laddove si cerca di insinuare il sospetto che non già l'autore, ma gli stessi personaggi, possano prendere coscienza della loro natura artificiosa e programmatica, ribellandosi apertamente ai capricci di un Creatore che impone le sue indiscutibili regole in un arbitrario mondo di marionette.

Se la natura stessa del mondo complesso ed inusitato dell'autore portoghese sembra informare le ambizioni di una messa in scena che punta chiaramente alla metafora ed all'ambiguità (bellissime le panoramiche dall'alto, governate da lentissimi movimenti di macchina, su di una città che rivela fin dall'inizio la sua natura scenografica e posticcia), il film di Villeneuve ci precipita sin da subito in una detection esistenzialista sui temi dell'identità e dell'autocoscienza e sulla potenza e l'autonomia della creazione cinematografica ('In the mouth of madness' 1995 di John Carpenter - 'Essere John Malchovich' 1999 e 'Il ladro di orchidee' 2002  di Spike Jonze ) mettendo in campo la lenta ed inesorabile progressione di un repertorio drammaturgico che si sposta non senza debiti e consapevoli rimandi ad un thriller surrealista dell'uomo in balia di eventi soverchianti e incontrollabili con annesso tentativo, disperato e patetico insieme (kafkiano) di un abitante dell'universo immanente delle creazioni di fantasia, dei mondi paralleli cui prende parte, di squarciare il velo di Maya e liberarsi dalle catene dell'inganno e della coercizione. Tra Hitchcock e Bunuel, tra Polansky e Lynch insomma, uno psicodramma pirandelliano sull'universo caotico e insensato che ci circonda e sul potere di controllo che la Storia esercita su di noi: e se fossimo solo i personaggi inconsapevoli della sceneggiatura che un Dio vanitoso e crudele ha scritto per noi? ("Il Mondo come Mito" ne 'il Gatto che Attraversa i muri' - R.Heinlein). Un personaggio in cerca d'autore infine, che ri-trova se stesso nella dimensione fittizia cui è stato assegnato ("Non volevi forse fare l'attore?" chiede mamma Rossellini con civettuola malizia) corrisponde, nalla tragicomica pantomima del meccamismo metacinematografico,  all'annichilimento tra la materia e l'antimateria dell'identità letteraria e che finisce per sconfinare nei territori imprevedibili e surreali della fantasia (e del subconscio) dell'autore-demiurgo che l'ha generato, con tanto di mostruosa tarantola gigante pronta a ricordarci che da quel circolo vizioso in cui ci siamo cacciati non c'è modo di liberarci.

Trasgredendo all autoreferenzialita' della metafora cinematografica l'autore lascia aperte tutte le possibili spiegazioni razionali: dalle vicende controverse di una separazione gemellare alla beffarda ironia di una casuale e assurda ricombinazione genetica e ontologica: « Una volta eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. » ('Il segno dei quattro' - A.C.Doyle). In questa dimensione di verosimiglianza psicologica tutte le sfumature dell'umana natura sembrano confluire in un personaggio complesso e combattuto, preda delle sue debolezze e dei suoi vizi, letteralmente sdoppiato tra un sè gaudente e fedifrago ed un altro sè stesso tenero e responsabile: un William Wilson che incontra il suo doppio cattivo e l'uccide non sa che il male alberga comunque dentro di lui ed pronto a rivelarsi con la sua natura mostruosa e tentacolare non appena rigiri tra le proprie dita la chiave ('UNICA'?) di un arbitrio che non è mai stato così poco libero.

  

Enemy (2013): Una scena del film

 

Straordinario come sempre Jake Gyllenhaal in un ruolo che sembra tagliato apposta per l'oscuro protagonista di Donnie Darko e bellissime e conturbanti le presenze femminili delle bionde Mélanie Laurent e Sarah Gadon quali opposte rappresentazioni dell'ambigua natura del peccato originale. Presentato in concorso al Toronto International Film Festival 2013 e Leone Nero al miglior film al Courmayeur Noir in festival 2013.

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