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Pink Floyd. The Wall

Regia di Alan Parker vedi scheda film

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Raffaele92

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La recensione su Pink Floyd. The Wall

di Raffaele92
9 stelle

Probabilmente “Pink Floyd – The Wall” è il capolavoro di Alan Parker assieme a “Fuga di mezzanotte” (1977).

Molti potranno accusare il regista di aver messo troppa carne al fuoco, ma il punto non è affatto questo. Il film di Parker è superbo perché riesce ad essere esattamente come l’album omonimo: distopico, ambiguo, frammentatissimo, cupo ma a tratti soave, semi-sperimentale, lisergico.

Nella forte adesione agli schemi visivi del proprio decennio (gli anni ’80), la pellicola si fa tanto iconografica quanto politica, con abbondanti riferimenti a Orwell.

C’è la vita di Roger Waters, c’è la dipendenza da droga di Syd Barrett, ci sono le rivolte studentesche, ci sono frammenti di infanzia e i sentori di rimpianti, ma c’è soprattutto tantissima nostalgia. A cosa quest’ultima sia rivolta non è chiaro e non è dato sapere: si tratta di una mera percezione emotiva o, detto in altri termini, di uno stato delle cose.

È pura confusione di schemi, di forme, di luoghi, di ricordi, di idee, di sensazioni, perfino di modalità narrative (lo si può considerare in parte un film d’animazione, grazie a sequenze la cui poesia sublima lo sguardo): il tutto converge verso l’assunto concettuale di quell’incomunicabilità della quale il muro del titolo si fa simbolo.

“The Wall” è aperto a molteplici letture, eppure al contempo questo continuo accavallarsi e scontrarsi di tematiche diventa talmente frastornante da dissolversi in quell’assenza di significato che è propria del mondo che ci circonda. Tale è il messaggio portante che, dall’album, si riversa magistralmente nel film.

Entrambe le opere (musicale e cinematografica) sembrano voler mettere al centro la musica, proponendola come risposta (o, ancora meglio, come antidoto) all’inspiegabilità di una realtà eccessivamente complicata. Perché al di là delle sue mille sfaccettature conta solo questo: la musica, il suono, il flusso melodico nel quale veniamo trasportati e che rende quello in analisi un meraviglioso viaggio caleidoscopico.

Non è un film sull’LP omonimo, ma un perfetto e inarrivabile prolungamento dello stesso.

È un invito a lasciarsi abbandonare all’immagine, al concetto di sensazione fine a sé stessa e per questo ancora più autentica.

Una pellicola che è possibile vedere e rivedere cento volte senza che l’impatto ne risulti mai smorzato, e che pertanto diventa anche un’imperdibile occasione per (ri)scoprire l’album.

Mi permetto infine (e non senza un po’ di audacia) di consigliare questo capolavoro anche a chi non è fan della band, nella speranza che possa cogliere il genio e la lungimiranza di un album e di un film epocali, da considerarsi un tutt’uno scisso in due forme artistiche.

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