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Pink Floyd. The Wall

Regia di Alan Parker vedi scheda film

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La recensione su Pink Floyd. The Wall

di maso
10 stelle

"Non riusciamo a capire come possa essere piaciuto così tanto alla gente"

Questa affermazione indubbiamente spiazzante fu pronunciata all'unisono da Alan Parker e Roger Waters, rispettivamente padre e padrone dell’opera, in seguito al successo planetario di questo film musicale che ha fatto epoca e continua ad influenzare le generazioni successive alla sua realizzazione.

Alla base del film c’è l’album omonimo dei Pink Floyd che rappresenta una delle vette non solo del leggendario gruppo britannico ma anche della musica moderna, intesa come veicolo di comunicazione ed espressione concettuale, non solo da ascoltare ma soprattutto da interpretare ed assorbire sotto pelle fino a creare un immagine, e visto che i Pink Floyd sono il gruppo che fa vedere ascoltando per antonomasia fu quasi obbligatorio mettere in immagini quell’opera rock composta da tanti piccoli frammenti, tanti piccoli mattoni.

Ma come è nato il muro? Che cosa sono queste canzoni che lo compongono? Di che materiale sono fatti questi mattoni? Sono fatti con i ricordi, le amarezze, le frustrazioni di Roger Waters e formalmente il germe dell’album o se volete le fondamenta del muro e del film sono nate con Waters stesso, che come viene ben illustrato all’inizio del film non ha mai conosciuto il padre morto durante la seconda guerra mondiale, questa mancanza, questo dolore è il primo gande graffio nell’anima dell’autore che accumulerà durante la sua vita e di pari passo nella sua carriera, altri mattoni, altre frustrazioni che sono incolonnate, cementate, incise in questo disco, in questo muro protettivo creato ideologicamente durante la tournée del precedente album “Animals”, durante la quale Waters si sentiva separato dal suo pubblico da una barriera invisibile, e la leggenda narra che nel bel mezzo di una esibizione centrò in pieno volto con uno sputo un ragazzo in prima fila che urlava come un animale e chiedeva ininterrottamente che suonassero “Money”, la canzone più immediata ed orecchiabile dell’intero repertorio dei Pink Floyd.

“The Wall” era già inciso nella carni di Waters ancor prima che lo fosse sui nastri magnetici, e quando fu pubblicato oltre a schizzare al primo posto delle classifiche di tutto il mondo fu anche oggetto di analisi da parte dei critici e gli appassionati che cercavano di tracciare una narrazione logica che collegasse quel lunghissimo brano che ricopriva ben quattro facciate.

Le indicazioni sono scritte su titoli e testi, ed anche se l’interpretazione generale dell’intero album e di ogni singolo brano è aperta, si può delineare una trama che verrà poi riversata in immagini e disegni nel film: “In the flesh” il primo brano prende il nome dalla tournée del già citato “Animals” intitolata appunto “Pink Floyd in the flesh”,  i tre segmenti intitolati “Un altro mattone nel muro” che inglobano versi come “Mio padre mi ha lasciato solo un ricordo, una istantanea nell’album di famiglia”, “Non ci serve la vostra educazione, ne il controllo della mente”, “Non ho bisogno di droghe per calmarmi”, il brano che introduce il secondo tempo della storia “Is there anybody out there?” “C’è qualcuno la fuori?”, e l’estremo conclusivo “Fuori dal muro”, ci danno già una traccia di quella che sarà la parabola della rock star moderna sempre più isolata e frastornata dalle droghe e dalle sue turbe psichiche che prenderà il nome emblematico di Pink, il quale ammassando ricordi su canzoni, mattoni su ossessioni si ritroverà solo dietro il suo muro a lottare contro la crescente pazzia fino ad autoprocessarsi,  affossare le sue turbe e tornare nel mondo a raccogliere le macerie di ciò che è rimasto dopo l’abbattimento del muro.

La figura di Pink è il punto di partenza da cui analizzare il film: Roger Waters stesso voleva interpretarlo ma Alan Parker bocciò molto presto questa ipotesi, ponendo quindi il primo mattone fra i due e cominciando la lenta costruzione di un altro muro che avrebbe pian piano portato il progetto sempre più nelle mani dell’emergente regista e sempre meno in quelle dell’acclamato musicista che si dimostrò assolutamente incapace di recitare ma vide comunque interpretare il suo alter ego Pink da un giovane cantante illustre sconosciuto ai più: Bob Geldof, che si rivelerà però una scelta azzeccata nonostante non avesse alcuna esperienza attoriale alle spalle.

La forza di Parker è stata soprattutto quella di saper convivere con Waters facendo però valere la sua visione del film senza mai tradire la musica che rappresenta a tutti gli effetti una sceneggiatura solida che gli ha permesso di svariare con le immagini dal presente al passato di Pnk/Waters,  di esplorare con le tavole stupende di Gerald Scrafe gli incubi del protagonista, con continui rimandi all’orrore della guerra ed ai ricordi della sua infanzia segnata da una madre opprimente ed una scuola castrante che maciulla i suoi alunni come in un tritacarne.

Il viaggio continua con il recente presente caratterizzato da un successo crescente pari al continuo straniamento da una moglie fedifraga che segna un po’ il punto d’appoggio per porre il mattone definitivo nel muro e nella prima parte del film che fila in maniera surreale ma lineare, mentre la seconda è assolutamente più complessa e di difficile interpretazione poiché l’isolamento di Pink dietro il suo muro apre al pubblico la sua psiche, le sue allucinazioni per non parlare della chiara critica antinazista che si identifica con uno dei simboli di “The wall”: i martelli incrociati che diventano il distintivo di Pink dopo la celeberrima rappresentazione del suo karma lisergico narrato dal mio brano preferito dell’intera opera intitolato “Confortably numb” un gioiello tipicamente floydiano, che si incastona in una sonorità più contaminata che caratterizza tutta la seconda parte dell’album e del film che culmina nel processo disegnato da Scrafe dall’incedere tipico dell’opera classica visto che nella sua composizione spicca la firma di Bob Ezrin.

Non vi aspettate ne un concerto ne un musical, perché “The wall” fa storia a se come la musica dei Pink Floyd: è un viaggio musicale per cui le immagini sono il commento della musica che non è pausata da dialoghi che la sovrastano, ma restano di sottofondo come i suoni della vita reale che da sempre caratterizzano la musica magica dei Floyd.

Senza imbarazzo posso affermare che lo stupore dei suoi due creatori riguardo al suo successo dimostra che essi non hanno considerato che la forma di questo film è malleabile come la creta ma c'è una ossatura di acciaio rappresentata dall’album ed è per questo che il film affascina ancora oggi e viene apprezzato dal pubblico, è solo una delle tante rappresentazioni che questo disco meraviglioso poteva avere.

 

Questa è la magia dei Pink Floyd: il più grande gruppo rock di tutti i tempi.

 

 

 

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