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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su La grande bellezza

di Kurtisonic
4 stelle

Mi dica cos’è per lei una vibrazione, è una delle domande emblematiche che restano in mente  dall’ultimo film di P.Sorrentino, e che anche al termine della proiezione rimane in angosciosa attesa di una risposta. Se lo scenario sociale che il film esplora è uno specchio che riproduce e amplifica la realtà, allora questa è del tutto parziale, contenuta in ambiti e clichè già ampiamente visitati da altri, denunciando amaramente modi di essere e di pensare, vite fasulle e inconsistenti, combinando immagini e linguaggi che non vanno oltre lo stereotipo. Sempre più lontano da quelle ”conseguenze  dell’amore” che il regista non coglie più guardandosi intorno, si arrende all’istrionismo del suo attore –personaggio Jep (Servillo), ne fa lo stanco animatore delle notti romane più mondane, confinato in quel mondo grottesco e ridotto, partecipando al teatrino dell’assurdo non come invisibile testimone, ma come fulcro centrale su cui ruota tutta la sua decadente rappresentazione morale. E la vibrazione? Non arriva dal viaggio all’indietro nel tempo del protagonista, il suo punto di vista risulta snobistico pari a quello dei figuranti di quel circo umano che ama frequentare. Sorrentino scommette su altre improbabili icone, un disperato Verdone, S.Ferilli che se apre bocca sul sofà perde ogni ragione d’essere, una rassegna degna di una lista di proscrizione degli attori italiani più presenti in video, condensati forse nell’unica figurina possibile, una S.Grandi che rappresenta al meglio il disfacimento umano e morale di quello spaccato di mondo, confinata saggiamente in una micro apparizione muta, ma che sbrodola di  rivoltante e autentica arroganza.  Senza nessuna costruzione narrativa e cucito sulle contro mosse del protagonista (bravo ma sempre più identificato nel suo ruolo di ammazza film, cioè dove lo metti lui fa sempre la sua figura), La grande bellezza non coinvolge, non stimola riflessioni nuove, evidente che Jep in quel mondo fasullo ci sta fin troppo bene, fra pseudo nobili, religiosi, ricchi e intellettuali, mi sembra che manchi solo  un regista cinematografico per completare la fauna…La vuota nostalgia del personaggio dal primo amore che non ha quasi vissuto, dunque immacolato e purissimo nel ricordo, al richiamo verso la fede vera e alla povertà, che magari vorrebbero rifarsi alle qualità dell’incanto pasoliniano contro il consumismo materiale e spirituale, appaiono flebili tentativi di riequilibrare un quadro che si dissolve inesorabilmente. Le scene ripetute delle feste, dei balli e dei trenini risultano fastidiose, inspiegabilmente il regista le ripropone con le stesse modalità, certo volutamente, ma rinunciando al suo talento, a quella capacità stilistica della quale è dotato, come se non la volesse mettere al servizio di questo mondo che scopre adesso. Forse poteva evitare di farci un film, per esempio, invece sembra più una resa alle regole di un cinema vicino alla televisione, al prodotto di facile consumo e di veloce scadenza. Infatti democristianamente il film si chiude su se stesso, con l’autoassoluzione generale e quella sensazione di un nulla che ci accompagna verso casa, schiacciati fra la folla nella metro e un telefono che suona, eccola la vibrazione.     

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