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Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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Lehava

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di Lehava
5 stelle

Il tatto e la vista non mentono. Questo è ciò che l'esperienza ha insegnato a Virgil Oldman. Suo lavoro, ma anche e soprattutto suo talento, quello di individuare, valutare, catalogare, il vero ed il falso. L'arte lo richiede, l'arte lo permette. Stà alla capacità dell'uomo interpretarne i segni. Stà alla sua sensibilità, e professionalità, svelarli, celarli, condividerli, tenerli per sè. Oldman è un antiquario e battitore d'asta di successo, una passione per le donne, che lui contempla, e possiede, esclusivamente sulla tela. Negli anni si è creato una propria collezione, di bellezza e valore. Le guarda, le tocca, le annusa. Con voluttà, quasi sessuale, come fossero esseri vivi e palpitanti. Ma esse sono e restano panno e legno, olio, acqua, pigmenti. Non carne e sangue, e pensieri, e emozioni, e desideri, e paure. E' la sua sicurezza: autentica ammirazione. La sua vita è tanto più impegnata, e lussuosa, quanto mancante di un reale e franco scambio e contatto umano. Anche le conoscenze, le amicizie, restano sullo sfondo della sfera professionale. E' un misantropo metodico e represso. Ma, in fondo, romantico. In fondo egli attende, come tutti, di vedere e toccare e annusare l'opera d'arte più bella: l'amore. Che non può essere meno che perfetto, visto il paragone con le donne esposte nel suo caveau (tra le quali, per gusto personale, ho riconosciuto Eleonora di Toledo)

 

E' dunque per lavoro (l'unico ambito in cui socialmente Virgil si muove) che egli incrocia la giovane ereditiera Claire. Che gli affida l'incarico della stima, catalogazione ed eventuale messa all'asta, di alcuni o tutti i suoi beni mobili. La ragazza, per attitudine e comportamento, sfugge ad ogni regola (di Virgil, ma in fondo anche della più elementare educazione): manca agli appuntamenti, scompare e ricompare, cambia idea continuamente, assilla l'antiquario per telefono, trova autogiustificazioni e scuse assurde, lascia libero sfogo alle proprie emozioni (attraverso il pianto, le urla). Ma soprattutto, si cela con ostinazione agli occhi e alla pelle. E' sola voce, attraverso una parete. Cosa attrae tanto violentemente Virgil verso di lei? Come può essere spiegato questo suo attaccamento immediato? Difficile dirlo, di Claire egli non sà nulla. Ed i loro colloqui restano corretti ma superficiali. Certamente, c'è nell'uomo una componente di curiosità, di svelamento di un "mistero". Ma anche, la scoperta di un mondo lontano, sconosciuto ed eccitante. E l'istinto primordiale, tutto maschile, di protezione. In definitiva, la consapevolezza di sè attraverso la negazione delle proprie certezze. Ovviamente, Claire si mostrerà. Ed altrettanto ovviamente, come in ogni fantasia maschile, sarà bellissima, e con quel pizzico di ritrosia (così qualcuno la definirebbe) a renderla sensuale e fragile nello stesso tempo. Un'opera d'arte insomma: perfetta. L'opera d'arte più bella per il protagonista: l'amore. L'autenticità non è in discussione, anche se è più una dichiarazione di fede che altro. Perchè Virgil non verifica nulla, si accontenta di un vecchio passaporto ed una firma su un foglio (alquanto difficile a credersi trattandosi di un mandato per milioni di euro, prima di una serie di crepe nella sceneggiatura, di cui di seguito).

 

In questo "mistero" dei sentimenti (quale mistero più profondo ed inaccessibile dell'animo umano?), di veli che si coprono e scoprono, di fuga e riavvicinamento al mondo e gli altri, si inserisce un "mistero" dell'arte e della tecnica: la ricostruzione di un antico automa di Jacques de Vaucanson, i cui pezzi sparsi sono ritrovati da Virgil nella casa di Claire. Un antica passione quella dell'antiquario, per il primo artista a cui venne riconosciuta la realizzazione di un automa meccanico perfettamente funzionante. Una ricostruzione a cui partecipa il giovane tuttofare intraprendente Robert, affabile e scanzonato, che ben presto diventerà amico e confidente dell'antiquario.

 

Nel vortice inatteso e straniero delle emozioni, il protagonista lascia per strada, sempre più, cautela e razionalità. Dando voce ai propri sensi e sentimenti, seguendo una trama fin troppo perfetta per essere vera. E della perfezione, si sà, bisogna sempre diffidare. Il finale, disilluso ed amaro, è scontato ed inevitabile. "In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico" assioma caro al protagonista. Vista e tatto, quelli soli evidenziano l'autenticità. Ed essa era lì, lo era sempre stata. Sotto gli occhi di Virgil, da poter afferrare allungando la mano, nel piccolo bar di fronte alla villa di Claire. Bastava guardare e non vedere, toccare e non sfiorare. Credere all'imperfezione e non anelare la perfezione. E la domanda finale che Virgil si pone ossessivamente, seduto nel "Night and Day" di Praga (e con lui noi spettatori, in un gioco di rimando cinema-realtà) è ancora più destrutturante e crudele: se in ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico, allora, quanto di autentico c'è, nella falsità?

 

Film interessante nelle tematiche dicotomatiche: vero/falso, corpo/anima, nascosto/svelato .... Gradevole, ma non eccelso. Ottime a mio avviso le ambientazioni e l' "atmosfera" in sospensione spazio-temporale: modernità e/o contemporaneità non definita; una città non meglio precisata della Europa continentale (forse Svizzera?);  l'elegante dimora di un antiquario che trae piacere nella contemplazione di ritratti femminili "esposti" senza una reale attenzione ad epoca, autore e stile; una villa meravigliosa nella sua decadenza, antica fra il cemento odierno. Su tutto, un velo sottile e leggero come la seta più preziosa, di eleganza e bellezza. Con contorno musicale, appropriato ma appena sufficiente. Regia curata nelle inquadrature (molto bella l'overture nel ristorante, decisamente manierista), pulita senza troppe lungaggini (anzi direi con accelerazioni inopportune). Buona la performance di Rush, appropriata di Sylvia Hoeks (più che altro, presenza "fisica"), sotto la sufficienza Sturgess (che tanto è caruccio quanto qui inutile), sornione Sutherland: poco spazio ma molta sostanza. La debolezza stà tutta nella sceneggiatura. Discontinua: buona la prima parte, inaspettatamente, è la lentezza il respiro giusto di questo film; scontata e ridondante la seconda: eccessivamente esplicativa, con continui richiami alla confusione del protagonista (ma, con troppi salti, troppe inquadrature sul volto sfatto di Rush). Alcune situazioni sono al limite della credibilità (vedi sopra). La malattia di Claire viene risolta con approssimazione semplicistica (il lasso temporale complessivo è di pochi mesi, un anno al massimo), inequivocabile anticipazione della catastrofe finale (per il protagonista ovviamente). Forse tre stelle sono poche (sarebbero tre e mezza a dirla tutta) ma per motivi del tutto personali questa pellicola mi ha innervosito. Comunque, consigliato

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