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La migliore offerta

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su La migliore offerta

di M Valdemar
4 stelle

Tutte le dissertazioni filosofiche, le analisi psicologiche, gli approfondimenti introspettivi - sulla natura complessa dell’uomo, sul mistero delle donne, ed il loro continuo attrarsi/respingersi come in un difettoso marchingegno i cui ingranaggi simulano l’eterna incompiutezza dei rapporti umani -, tutte le riflessioni di qualsiasi genere si possa a ragion veduta prendere in esame, ebbene, finiscono col cadere rovinosamente e penosamente nel baratro di una risoluzione inaccettabile, che offende.
La migliore offesa.
Affascina e tiene bene la tensione, La migliore offerta, sino a che non si devono tirare le fila di quella che è una rappresentazione scenica ammaliante e sontuosa; allora, giunto il momento del colpo di scena, allungato, ripassato, ribollito inutilmente in una sospensione incomprensibile, l’orrida macchinazione svela l’inconsistenza di una scrittura incapace di sostenerla.
Non ci sono sfumature oniriche o metafisiche che avrebbero potuto mascherare l’ingenua trovata, pertanto non si può che pretendere da una storia che trova senso unicamente sulla rivelazione finale (altrimenti sarebbe solo un elegante pretestuoso insieme di considerazioni spicce), una minima traccia di verosimiglianza.
Nell'ottica di un ripasso retroattivo, troppe casualità e incongruenze non reggono la struttura - assai poco strutturata - del gioco (che non è uno scherzo) di mistificazione: dietro il falso dell’opera (vistosa) di Tornatore c’è veramente poco, quasi nulla, di autentico.
Più che di pretenziosità dell’autore (che pure, in parte, c’è) o di irrispettosa volontà di prendere in giro lo spettatore, si è trattato, banalmente, dell’incapacità nello sviluppare un soggetto sulla carta interessante e passibile di risvolti notevoli in un copione solido e concreto, a prova di bomba. Il risultato invece è tristemente scadente.
Troppe cose non tornano (le più elementari: l’accettazione dell’incarico senza prendere la minima informazione, la provenienza degli oggetti da catalogare, il ruolo del vecchio e più che conosciuto amico, la resa dopo il danno, la fiducia assoluta nel giovane amico; per non parlare di quella più importante come la certezza del coinvolgimento sentimentale), inutile girarci intorno. Il ritratto di quest’uomo - così prestigioso, acculturato, con parecchi problemi nel relazionarsi col prossimo (le inquadrature insistenti sulle mani coperte/protette perennemente da guanti), ma che è anche potente e non esattamente l’ultimo dei fessi - non è credibile, non per come è disegnato e per quelle che sono le azioni dell‘uomo stesso, soprattutto dopo il fattaccio.
Il colpo di scena finale (peraltro da molti in sala intuito per tempo) ha l’innegabile investitura di vanitosa spiegazione, di estrema razionalizzazione degli eventi. E’ dunque logico e corretto soffermarsi su questo aspetto, è il film stesso a proporlo e coerentemente gli viene usato contro.
Molti altri fattori possono essere analizzati e messi nella giusta luce, a partire dall’eccellente fattura di scenografie ed ambientazioni ed a qualche guizzo di virtuosismo registico, così come meritevole di menzione è la prova maiuscola di Geoffrey Rush (convince anche la sconosciuta attrice olandese Sylvia Hoeks, meno l’anonimo Jim Sturgess mentre Donald Sutherland non è pervenuto), eppure quello che rimane è tutt’al più un raffinato esercizio di stile, esaltato dalle invadenti musiche di Ennio Morricone.
Un'idea, per quanto apparentemente ingegnosa appaia, da sola non basta: la migliore offerta era quella che Giuseppe Tornatore avrebbe dovuto fare, tanto per fare un nome, a David Mamet per scrivergli una sceneggiatura come gli dei del cinema comandano.









 

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