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Bling Ring

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Bling Ring

di M Valdemar
4 stelle

Come guardare un criceto dentro una ruota: sai già cosa ti aspetta; e l’interesse nell’osservazione scema presto al ritmo dell’ultima urticante hit.
Bling Ring gira a mille nel suo lucente piatto specchiarsi senza mai lasciare il segno. Non una scelta che non sia prevedibile nel grande disegno gener(azion)ale, non un’inquadratura che spiazzi o sorprenda o sospenda la simpatica sensazione di apatia.
Superficialmente didascalico per coprire/giustificare l’incessante profluvio di fighettitudine, infarcito di schematismi elementari che alternano gli stati incoscienti degli stupidi giovinastri (riprese agitate che accompagnano i soggetti nella loro progressiva schizzata deriva, musiche “giuste” che pompano e violentano) agli stati di presa di coscienza delle conseguenze delle proprie malefatte (camera fissa su volti perduti o mistificanti, commento sonoro insinuante e disturbante): il nuovo Sofia Coppola è un bel vecchio compitino eseguito bene aggiornato all'estetica dei tempi con gli strumenti adatti e la capacità di farsi evento.
Infatti - guarda un po’ - si brucia un buon tre quarti di pellicola inscenando le imprese sceme di tizi non proprio svegli attratti dallo “stiloso” stile di vita delle celebrities (e dalle loro ricchezze: in pratica La roba 2.0), conferendo con estrema prudenza quel tanto che basta di “trasgressione” (riconducibile a qualche sniffatina, allo scosciare frenetico ed atteggiarsi cool delle sgallettate mariuole e alla velata inclinazione sessuale dell’unico maschietto del gruppo), salvo poi dimenticarsi di approfondire quando sarebbe ora di mostrare la natura putrefatta delle cose e svelare quello che c’è dietro la maschera degli ex membri del branco pronti a tutto.
Invece, dai binari dell’esteriorità (intrisa di sano “colto” distacco) non si devia: l’equilibrio cerchiobottista (e un filino moralista nonché autoassolutorio) trova la sua “perfetta” chiusa nel finale amaro di una facciotta triste su sciccosa mise arancione-galera e di un contro-finale all’insegna del banale (Emma Watson alla tv in procinto di aggiornare il suo status in - scommettiamo effimera - celebrità).
Inutile e del tutto irrilevante prodursi in riflessioni sul vuoto e sul disagio delle nuove generazioni (anche perché la figura più inquietante di tutte è rappresentata dalla mamma fanatica religiosa), già disinnescate sul nascere dalle solite opportune dichiarazioni di intenti (del tipo che non si vuole dare un giudizio ma solo raccontare una storia interessante e bla bla bla), ma soprattutto superate dalla vorace realtà e meglio spendibili in opere più coraggiose (sia nella forma che nella sostanza).
Quello che, alla fine, preme capire è se e quando Sofia Coppola saprà girare qualcosa di diverso.

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