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Taken - La vendetta

Regia di Olivier Megaton vedi scheda film

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La recensione su Taken - La vendetta

di M Valdemar
2 stelle

La sola certezza fornita da Taken - La vendetta è che quel bulimico megalomane talento di Luc Besson ne esce trionfatore assoluto. I primi risultati al box office lo certificano, come già peraltro accadde per il primo Taken (il cui titolo italiano, Io vi troverò, era assai più appropriato, perché ben rendeva l’attitudine cafona e “sottilmente” vendicativa del suo protagonista).
Assieme a Robert Mark Kamen, crea, produce, sceneggia la serie (che a questo punto è intuibile che non sia affatto conclusa), imprimendo il suo riconoscibilissimo marchio e soprattutto la sua voglia di ripagare gli amici/nemici hollywoodiani ponendosi sul loro stesso, bassissimo piano: quello, per intenderci, delle pellicole action fracassone con un’ide(ologi)a di cinema ridotta all’osso - spolpato di qualsiasi interessamento alla definizione di caratteri, contesti, significati -, meramente asservita al lurido intrattenimento videoludico veicolato ad un ritmo forsennato e dissennato per mezzo di noti effettacci - estetici, sonori - e dell’appiattimento a figure bidimensionali dei personaggi messi in campo.
Ci sarebbe poi il “regista” (nominale), quell’Olivier Megaton (nato Olivier Fontana) già responsabile di pasticci quali Transporter 3 e Colombiana (nel quale sprecava malamente e impudentemente un corpo magnifico come quello di Zoë Saldaña), che è in sostanza solo il braccio automatico e semovente della mente - in deficit di attenzione e glorificazione - Besson (che sarà pure infaticabile e irrefrenabile ma il giorno è fatto di ventiquattro ore pure per lui).
Anche se, va detto, il buon Luc, che da regista sa anche realizzare opere di un certo rilievo e fascino (non ultime le più recenti e diversissime tra loro, il godibilissimo e spettacolare Adèle e l'enigma del faraone e l'impegnato The Lady), è quasi degno di ammirazione per la sua ferrea, incontenibile volontà di contrastare lo strapotere degli Studios americani. Il logo EUROPA CORP infatti campeggia maiuscolo, combattivo, minaccioso in apertura del film: praticamente una bellicosa dichiarazione d’intenti tutt’altro che celati e sottomessi.
Della trama di Taken - La vendetta, come si può facilmente intuire, poco importa e altrettanto meno interessa, poiché è solo uno strumento come un altro per mettere in scena quanto di più becero e scontato si possa immaginare in ambito action thriller. Seguendo il (fortunato) solco tracciato dal precedente capitolo, le modalità, le dinamiche, le tecniche sono pertanto le stesse e c’è finanche un maggior abbandono alle nefandezze già viste/subite prima. Alla prevedibile totale mancanza di (auto)ironia, alla spiccia esilissima struttura della sceneggiatura (contraddistinta da una marea di assurdità e incongruenze), alla convulsione indotta da botte, inseguimenti, sparatorie, si assomma una componente ancor più irricevibile, sempre ereditata ma che qui agguanta livelli infimi: quella sentimentale, dei momenti familiari, d’una stucchevolezza esagerata ed esasperante. “Momenti” che occupano una buona ventina di minuti all’inizio - quando si è in “attesa” che il cattivo di turno interrompa l’idillio e scateni il caos (in tutti i sensi) e la brutalità dell’infallibile Bryan Mills - e che naturalmente si riaffacciano nell’happy end. La dimensione, senza timore alcuno di eccedere, è quella soapoperistica: scadente, quasi amatoriale, ridicola. Possibile che non siano stati in grado di pensare/scrivere qualcosa di più presentabile? Non ci voleva molto; e allora è lecito supporre che davvero non gliene fregava nulla. Basta saperlo.
Che poi non è che le sequenze di azione - in teoria il punto di forza - siano chissà cosa di così sfavillante e spettacolare. E’ semplice routine, normale concitazione, banale susseguirsi di scontri, frasi-sentenza e duelli; quello finale, pure un po’ noioso, richiama il ring, mentre il boss se ne sta moscio moscio in un angolo ad aspettare la sua, di sentenza.
Nemmeno - e figurarsi - dai personaggi giunge nulla di interessante: il protagonista, Liam Neeson, è il primo a sapere di stare girando una roba destinabile/cestinabile al massimo come straight-to-video (ma soldi e fama giustamente non li schifa), e procede per inerzia. Non è granché credibile ma chi se ne frega. Ex moglie e figlia (la variante riguarda che questa volta è la prima quella che viene “presa”) continuano a fungere da oggettistica di bellezza e null’altro. In più, onde evitare qualsiasi impiccio, viene fatto sparire l’ultimo marito dell’ex coniuge che si scopre essere un figlio di buona donna (lo vogliamo spalancare o no un megaportone sul ritorno di fiamma?). Inutile dire che Famke Janssen è del tutto sprecata, così come lo è un attore di razza quale è Rade Serbedzija. Il quale è ovviamente il cattivone, e nel finale ci tiene a ribadire che ha altri due figli che reclameranno prima o poi vendetta.
Si accettano scommesse su chi sarà il prossimo “taken”.




 

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