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The Last Stand - L'ultima sfida

Regia di Kim Ji-woon vedi scheda film

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La recensione su The Last Stand - L'ultima sfida

di alan smithee
6 stelle

Le mode, le tendenze, i cicli: anche il cinema risente di questi influssi, di queste onde, di questi ritorni in auge. Clamoroso è stato senza dubbio il fenomeno del ritorno dei muscolosi e muscolari eroi anni '80 circa un paio di anni orsono con quel "I mercenari" sotto la regia di Stallone che non fu neppure così un disastro come poteva sembrare su due piedi, poco dopo seguito da un suo (questo si terrificante) inutile seguito.
E mentre Stallone, dalle prime immagini trapelate a proposito della nuova fatica cinematografica condivisa addirittura dietro la regia del grande Walter Hill, ci appare sempre più incredibilmente (ed inquietantemente) in forma, con i suoi pettorali turgidi come una maggiorata anni '50, le sue venazze a fior di pelle dal diametro di grondaie,  i suoi bicipiti che paiono cosce di prosciutto serrano, anche ora che ormai ha superato abbondantemente le 65 primavere - il suo eterno antagonista Swarzy non e' stato con le mani in mano a rodersi di invidia. D'altronde solo in un Paese contraddittorio, pazzo e insieme magico come l'America è stato possibile che l'attore di blockbuster più pagato degli anni '80 potesse divenire il Governatore della California e poi, dopo un decennio, ritornare tranquillamente al cinema come se nulla nel frattempo fosse successo, ricoprendo per giunta gli stessi ruoli fisici e muscolari che lo caratterizzavano a quarant'anni, nel pieno vigore di una forza fisica che, a quanto pare, almeno apparentemente e nonostante una certa inevitabile bolsaggine di fondo, non pare essere così propensa ad abbandonare il nostro ex Mister Universo.
Detto ciò la vera paura era un'altra: il film infatti costituisce la prima trasferta a stelle e striscie del fantastico regista coreano Kim Ji-woon, uno dei miei preferiti, protagonista straordinario di una cinematografia, quella coreana, che già in sé trovo entusiasmante.
Molti dei timori preventivi sono infatti giustificati da una trama che basta leggere in un breve sunto di una qualsiasi rivista di gossip per farsi un'idea della pochezza e della prevedibilità dello svolgimento: la storia è semplice e primaria, scontata e vista chissà quante volte: un ex agente della narcotici, relegatosi a semplice ma motivato e scrupoloso sceriffo di una piccola cittadina ai limiti del deserto messicano in seguito ad una brutta storia dai contorni poco definiti di almeno un decennio prima, viene coinvolto suo malgrado dalla fuga di un pericoloso narcotrafficante (il coatto e ritrovato Eduardo Noriega) che si dirige verso il villaggio a bordo di una roboante e tamarra Corvette nera per passare il confine e togliersi l'FBI di dosso. Dietro di lui esplosioni, rapimenti e terrore, non fosse che interviene inevitabilmente lo sceriffo Ray Owens (Swarzy appunto) per sistemare, con pallettoni di fucile e tanta buona volontà e fede nella giustizia e nella rettitudine, un caos esplosivo (in tutti i sensi) che sta per sfuggire di mano  anche alla sopravvalutata e snob FBI.
E tra cattivi sopra le righe e stronzissimi (anche Peter Stormare non scherza, dopo Noriega, quanto a macchiettismo civettuolo e citazionista), giovani colleghi alle prime armi, indifesi e politically omosex, e belle ragazze poliziotto intrepide quanto inesperte, c'e' davvero bisogno del nostro immarcescbile colosso austriaco per dare una lezione ai gaglioffi irriducibili cattivi ma senza classe.
E se da una parte si respira l'aria (viziata ma in fondo nostalgicamente gradevole) di filmacci come Commando o Codice Magnum con lo Swarzenegger post-Conan, dall'altra bisogna pur tener conto del notevole talento del regista di Bittersweet Life che rende magnifiche le scene d'azione (infinite), le sparatorie (incessanti) e le evoluzioni automobilistiche (un po' alla Hazzard ma efficacissime).
Verrebbe dunque vivamente da consigliare al bravo regista di "I saw the devil" di scappare da questa insulsa mediocrità e tornarsene più proficuamente a casa. Ma è pur vero che spesso nella sua non sterminata carriera il regista Kim Ji-woon si è imbarcato in avventure che ha saputo rendere perfette e con la giusta dose di adrenalina, tirando fuori da un pasticcio di sceneggiatura un prodotto che sapesse incontrare facili entusiasmi di un pubblico meno smaliziato, e il meritato riconoscimento per la resa scenica da parte di uno sguardo più cinefilo e approfondito, che saprà distinguere da tanta ordinarietà una abilità mai banale e non alla portata di tutti i colleghi, anche quando costretta da maliziosi calcoli commerciali a volare più in basso delle naturali potenzialità autoriali appannaggio del brillante cineasta.

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