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Passion

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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La recensione su Passion

di degoffro
6 stelle

Il “nuovo” Brian De Palma è davvero nuovo? Si sa che il regista ha sempre amato giocare con intelligenza e sensualità con il già visto, come nel precedente, geniale e splendido “Femme fatale”, vetta (inarrivabile?) nel suo personalissimo percorso di riflessione sulle immagini all’interno di un genere ben codificato (il thriller), da lui sempre praticato con estrema modernità e strepitosa disinvoltura. Con “Passion”, titolo volutamente fuorviante (ma perché poi? - a conti fatti mi pare uno sberleffo non proprio illuminante) ed ispirato al già non eccelso “Crime d’amour”, opera ultima e minore di un regista troppo spesso in Italia sottostimato come Alain Corneau (almeno quattro capolavori riconosciuti ed indiscutibili del polar come “Polyce Python 357”, “La minaccia”, “Il fascino del delitto” e “Codice d’onore” più il notevole “Le cousin”), De Palma tenta un’operazione similare. Il risultato, ahimè, è ben al di sotto delle aspettative. Non discuto tanto la pretestuosità della trama, insolitamente piatta nella prima parte, poi pronta a prendere audacemente altre direzioni e traiettorie in una continua sospensione tra sogno e realtà (ancora?). Per Brian la sceneggiatura è sempre stata un pretesto, appunto, per parlare d’altro: vero è però che se scegli un determinato genere e non vuoi rivolgerti solo al tuo pubblico (e un regista non può commettere un errore del genere, sarebbe puro e semplice autocompiacimento fine a se stesso) non puoi dimenticarti completamente della suspense e della tensione, qui in tutta oggettività scarsine. Non mi irritano le interpretazioni anonime (per il regista gli attori sono di frequente semplici manichini al servizio delle sue diaboliche orchestrazioni): a parte il resto del cast che, purtroppo, fa davvero pensare ad una qualsiasi puntata de “L’ispettore Derrick”, le due attrici principali non sono così terribili come è stato detto e scritto (meglio comunque la McAdams della inadeguata Noomi Rapace), ma siamo distanti anni luce dalla carica erotica dirompente e dalla presenza magnetica di Rebecca Romijn. Né contesto il tema che per il regista pare diventato un’autentica ossessione, come la fallacità delle immagini e le potenzialità infinite delle nuove tecnologie. In “Passion” sono continue le sequenze in cui schermi proiettano altre immagini, in cui personaggi riprendono altri personaggi ad evidenziare un voyeurismo sempre più assillante, spinto e persino perverso ed in un continuo rimando, ritorno e rincorrersi che sottolinea in modo fin troppo ridondante la mistificazione ed il travisamento delle immagini stesse ma non aggiunge nulla a quanto già detto in passato. E poi il fondamentale “Redacted” su questo non era già stato definitivo? Quello che però più di tutto mi ha spiazzato e fatico ad accettare, avvertendolo quasi come un tradimento, è la totale freddezza dell’insieme. Da un film di De Palma io PRETENDO di essere rapito, ammaliato, sedotto ed ipnotizzato. E’ una sorta di implicita complicità che scatta naturale, spontanea, immediata ogni volta che mi siedo ad ammirare e contemplare un suo lavoro. Lo dice uno che ai tempi di “Mission to Mars” (uno dei titoli più discussi del nostro) scriveva una lettera furibonda al mensile “Ciak” (sorprendentemente pure pubblicata) per difendere a spada tratta un film che reputavo massacrato ingiustamente e la cui prima ora tutt’ora considero pura arte visiva. Di un film di De Palma non mi interessa la plausibilità e verosimiglianza della trama. Non cerco interpretazioni da Oscar. Non voglio il tema alto su cui discutere e dibattere. Per me De Palma non è un regista ma IL regista. Deve conquistarmi e lasciarmi sbalordito con la sua principesca e sontuosa messa in scena. Non mi basta il meraviglioso split screen di metà film, né mi accontento degli ultimi formidabili dieci minuti che, però, a conti fatti, sono solo una rimasticatura e una pericolosa autocitazione di classici del regista, ivi comprese le musiche ovvie di Pino Donaggio (dall’ascensore di “Vestito per uccidere”, alle scale di “Black Dahlia” ad una sequenza rifatta identica in “Doppia personalità”, all’ultima immagine, ancora evidente rimando al finale del cult con Michael Caine). In “Passion” si avverte un’inedita stanchezza e un’ispirazione appannata, come se un pigro e svuotato De Palma credesse poco in quello che sta facendo. E se vedendo un suo film inizio a pensare alle incongruenze della storia, alla mediocrità degli attori, alla ripetitività del sottotesto teorico, al rischio di ridicolo involontario di certi passaggi significa che il magico meccanismo si è sorprendentemente inceppato. Chi dice che De Palma è bollito mente sapendo di mentire, ma vedendo questo spento “Passion”, illuminato solo a sprazzi e molto di rado da schegge impazzite e deliranti di un talento visionario che conferma di non avere ancora pari, non si può nascondere che il nostro Brian si è un po’ seduto sulle sue certezze, sui suoi temi e sul suo stile vivendo di rendita, nella speranza di mandare in visibilio i suoi fans (il resto del pubblico, temo e credo, sia stato ignorato fin da subito). Può essere davvero che tutto sia un consapevole inganno, un trucco, un’illusione ma questa volta non ci sono cascato. E nulla mi toglie dalla mente che, all’interno dell’opera omnia del maestro, “Vestito per uccidere”, “Omicidio a luci rosse”, “Doppia personalità” e “Femme fatale” restino inevitabilmente su un altro pianeta. Speriamo solo che questo primo mezzo passo falso non sia il campanellino d’allarme per una preoccupante parabola discendente.

Voto: 6

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