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Passion

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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La recensione su Passion

di alan smithee
8 stelle

“Passion to(wards) the wonder”: De Palma Vs. Malick per due film che accendono animi, dibattiti, passioni incondizionate ed unilaterali, ma pure stroncature clamorose, senza pietà, non sempre sufficientemente motivate: e’ il lato più interessante e stimolante di un’arte che finalmente ogni tanto riesce, anche con una punta di furbizia ed astuto calcolo commerciale, a scuotere dal torpore spettatori che digeriscono tutto troppo passivamente; un prodotto che riesce finalmente a  far parlare di sé, nel bene e nel male, purché se ne parli.

Due pellicole differenti e con diverse ambizioni, ma con alcuni punti in comune: innanzi tutto l'attrice protagonista, quella Rachel McAdams lanciatissima,  carina pur se non mozzafiato come la perfetta Rebecca Romijn-Stamos di "Femme fatale" o la statuaria Deborah Sheldon di "Omicidio a luci rosse". 

Noomi Rapace, Karoline Herfurth

Passion (2012): Noomi Rapace, Karoline Herfurth

Noomi Rapace, Rachel McAdams

Passion (2012): Noomi Rapace, Rachel McAdams

Qui Rachel e' la nuova femme fatale, simile ad una meno perfetta Catherine Tramell/Sharon Stone ed in questo senso molto in parte; più in generale probabilmente attrice in fondo sin troppo sopravvalutata a giudicare dai registi eccezionali che se la contendono negli ultimi tempi.

Altro punto in comune tra i due film è poi il Concorso all’ultima Mostra veneziana, e il conseguente massacro mediatico che li ha caratterizzati in entrambi i casi.

Mentre per l’opera del misterioso autore di "The Tree of life" in Francia bisognerà attendere fino a fine marzo, Passion è uscito ieri nelle sale d’oltralpe, complice forse la coproduzione franco/tedesca che ne ha favorito un’uscita che nel nostro paese rimane invece, nonostante l’anteprima veneziana, una (fra le tante) inquietanti incognite che spesso predispongono all’oblio opere di autori anche celebri e celebrati.

Passion, che segna il ritorno di De Palma nei malsani territori del thriller torbido e violento, teso e sanguinolento dopo diversi anni dedicati a progetti “più adulti” ma anche meno consoni alle sue corde (anche se Redacted costituisce un capitolo straordinario, innovativo e pienamente riuscito, grazie al quale dovrebbero sentirsi debitrici opere anche notevoli come l’ultimo Bigelow di Zero Dark Thirty).

Un ritorno con un remake, in particolare quello dell’ultimo film del recentemente scomparso ottimo ed ecclettico Alain Corneau: quel “Crime d’amour”, naturalmente inedito da noi e che cercherò entro breve di recuperare, se non altro per mettere a confrondo due registi così bravi e così diversi. 

Passion certo parte maluccio, bisogna ammetterlo: fotografia patinatissima quasi irritante che non trova giustizia né giovamento nelle inquadrature asettiche e geometriche di spazi interni di uffici dal design freddo ed essenziale, primi piani su portatili e telefoni che tradiscono senza vergogna fini propagandistici e commerciali a questo punto tutt’altro che occulti; al centro della vicenda un continuo gioco di ruolo tra due donne, amiche-amanti-nemiche in una rincorsa al gatto e al topo che nasce da un rapporto di sudditanza lavorativa (siamo in una grossa società pubblicitaria e la spregiudicata sensuale, rampante e biondissima Christine si impadronisce fraudolentemente di una geniale idea della più giovane e ingenua Isabelle giustificando la sua azione predatoria col fatto che ormai le due donne costituiscono un'unica squadra affiatata ed inscindibile) che sfocia presto nello scambio di partner, nella rivalità in amore, nello scontro senza tregua.

La “passione” del titolo è quantomeno ironica nel senso di inesistente, perché se da un lato la emotiva e fragile Isabelle cade nelle maglie tentatrici dell’uomo della sua bionda datrice di lavoro ed è disposta a cedere a qualcosa che assomigli ad una passione d’amore, Christine invece gioca con la specie maschile come l’ape regina con il fuco usa e getta del momento: da un cassetto della sua elegante camera da letto addirittura spuntano tutta una serie di suppellettili erotici: dildo, catene, cerchi metallici, palline varie e una maschera che la dark lady testa sul maschio di turno in un rapporto di sottomissione solo vagamente accennato e che comunque qui spesso rasenta il ridicolo.

Quello che interessa tuttavia e risalta da questa prima parte un po’ artificiale e scialba, che perde tempo ad illustrarci interni arredati da rivista patinata, tra sale da bagno spaziose come un campo da tennis circondate da un bosco di trochi di betulla e salotti che puntano all’essenzialità delle linee geometriche dove la donna e i suoi abiti, le sue scarpe altissime e aguzze come armi da taglio sono parte integrante dell’arredamento - è il ruolo di puro oggetto sessuale a cui assurge  la sempre opaca figura maschile; probabilmente per fare questo il regista riempie il cast di figure davvero mediocri, anche dal punto di vista della resa scenica e della recitazione: una scelta singolare ma azzeccata che comprende in primo luogo un amante sempre inappuntabilmente vestito e con una pettinatura da baronetto che pare uscito fuori da una soap di quart'ordine e un poliziotto anziano e disordinato che sembra un barbone bohemien.  

Rachel McAdams

Passion (2012): Rachel McAdams

Fin qui in effetti, per assecondare i molti detrattori, calma davvero piatta, dove si segnala anche che l’interpretazione delle due dive(tte) non risulta certo eccelsa: in particolare mentre la Mc Adams riesce ad apparire un vago clone della Stone di Basic Istinct, la Rapace, grassottina e tutta zigomi accentuati da un make-up esagerato, pare davvero un pesce fuor d’acqua tutta stupore e occhietti sbarrati.

Per fortuna nella seconda parte il torpore del regista si trasforma come dopo un brusco risveglio e, complice l’ottima consueta ed inevitabile presenza di una colonna sonora incalzante e furiosa a firma dell’affezionato Pino Donaggio, ecco che tornano a galla le ossessioni del maestro: quella hitchcockiana mai rinnegata per la doppia identità/personalità, per lo scambio di ruoli, per il trasformismo: un iperbole di situazioni che attorcigliandosi l'un l'altra impennano la pellicola facendola virare in zona meraviglia, almeno per noi depalmiani irriducibili. La macchina da presa infatti si sveglia dicevamo, e il suo percorso diventa finalmente ossessivo e tortuoso come piace a noi, soprattutto quando inizia a pedinare le sue protagoniste, sempre in bilico tra una doppia personalità (la bionda), e il binomio sogno-realtà (la mora): pazienza che non si riesca a capire tutto della intricatissima morbosa vicenda: con De Palma, come con Lynch (che di bionde e di brune e pure di scarsa comprensibilità se ne intende eccome!), questo non è fondamentale se ci si lascia trasportare dalle ali e dai voli rasenti ed arrischiati di una macchina da presa che sfiora gli angoli perfetti di splendidi interni di palazzi, dove geometrie sempre più ardite si accoppiano alle ellissi di uno sguardo malato ed ossessivo che è quello del regista e quello in cui noi, suoi irriducibili ammiratori, amiamo perderci per rimanerne irrimediabilmente affascinati.

Ma a quel punto pure Noomi Rapace torna in parte: forse non è altri se non la nuova burrosa Nancy Allen del nuovo secolo, la nuova eterna perseguitata già ammirata nei precedenti capolavori Blow Out e Vestito per uccidere!

 

Grandi momenti: lo schermo che si splitta in due (l’effetto, non nuovo a De Palma e molto amato ed utilizzato anche da Greenaway, si chiama "split screen") per permettere allo spettatore si seguire la bionda perversa che prepara il terreno del suo prossimo (e fatale) giochino sessuale mentre dall’altra parte la mora assiste commossa ad un balletto romantico e stilizzato da un’opera di Debussy in cui una giovane vergine perde la sua purezza tra le braccia del suo focoso insistente amante; altra magia è l’alternarsi vorticoso di sogno/realtà, scandito da una posizione dritta od obliqua della mdp, che destabilizza e rende impossibile farsi un’idea precisa dell’innocenza o della colpevolezza della nostra povera Isabelle, vittima di una trama fosca più grande di lei e più complicata ed ardita di ogni più tenace e brillante tentativo di comprensione.

Ma è anche indimenticabile la figura della gemella di Christine che ti spunta improvvisamente da dietro con la sciarpa insanguinata mentre tutt’attorno impazza la musica furente, meravigliosamente invasiva di Donaggio, scena peraltro già vista identica nell’altrettanto ingiustamente snobbato e criticato Raising Cain col mefistofelico ineguagliato John Lithgow; come e' da antologia la scena pazzesca e mozzafiato dello strangolamento lunghissimo e sofferto della giovane umana collaboratrice di Isabelle, che sembra venire interrotto da un lungo squillo di cellulare e dalla visita di quell'ebete dell'ispettore spettinato, ma è in realtà solo in prolungamento di una atroce agonia.

E in tutta quella folle danza dell’ossessione emerge evidente un unico aspetto, peraltro da sempre risaputo ed ammesso dallo stesso universo femminile: le donne sono spesso le peggiori nemiche di loro stesse: mai come nell’ambiente lavorativo assistiamo tutti i giorni a tensioni e a soprusi mossi da invidie e gelosie di carriera o anche per motivi ancora più futili, che dividono ed interrompono per un semplice sgarro amicizie e complicità che perdurano magari da anni: succede anche nel pianeta maschile, per carità, ma la violenza e la repentinità con cui si stringono e sciolgono alleanze e si tessono trame di cieca vendetta, sono statisticamente predominanti ed eclatanti nell’universo femminile. In quest’ambito spesso l’uomo è la causa di tutta questa guerra, rappresenta la preda contesa e proprio per questo molto ambita: ma da questa disputa egli viene tenuto da parte, magari relegato a ruolo di fantoccio, di Big Jim in carne ed ossa da spolpare e gettare via dopo l’uso. In questo senso il film di De Palma è molto meno assurdo e anzi quasi documento di un fenomeno che ora più che mai caratterizza le nostre vite stressanti di anime irrequiete.

Insomma alla fine della visione posso affermare senza esitazione, ma anche senza nessuna polemica con chi la pensa diversamente, che De Palma è in fondo l'autore che più di ogni altro ha sempre dato il meglio di sé ed espresso meglio la sua arte e la sua innegabile abilità con i thriller erotici, genere che meglio di ogni altro esalta le sue magnifiche perverse ossessioni.

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