Regia di Benjamín Ávila vedi scheda film
Ambientato nell’Argentina degli anni ’70, si focalizza sulle condizioni di vita di un ragazzino (di forse 10 anni) che è costretto a vivere in clandestinità coi suoi genitori e con lo zio perseguitati dal regime, cambiando egli stesso nome e regione di residenza. Il film non sembra essere particolarmente interessato alle motivazioni politiche per cui i genitori sono in clandestinità, dandole forse per scontate, e probabilmente dando per scontato che essi combattano per una giusta causa. Quello che più interessa sono le difficoltà ed i disagi del bambino, costretto a vivere con ancora maggior difficoltà un’età già di per sé difficile (belle e poetiche le scene del suo primo flirt a scuola).
Notevole e molto interessante l’espediente di far vivere “a fumetti” le fasi più difficili e cruente del racconto (la fuga; la morte del padre; la morte o cattura della madre e della sorellina che, ancora infante, risente meno del fratello dei disagi dell’esilio e della clandestinità).
Cattivi certamente i persecutori, che alla fine gli uccideranno madre padre e zio e consegneranno il bambino alla custodia della nonna; tuttavia un dubbio sembra proporsi con insistenza, insinuato a mio parere dagli autori stessi del film. Ma ne valeva la pena? Non era preferibile, almeno per il bambino, che egli vivesse una vita normale anziché da prematuramente orfano, seppur sopportando come milioni di altre persone un regime ingiusto?
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