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Promised Land

Regia di Gus Van Sant vedi scheda film

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La recensione su Promised Land

di OGM
8 stelle

Gus Van Sant torna, raccontandoci, ancora una volta, la provincia americana come un luogo di frontiera, dove la vittoria odora di sconfitta, mentre il cuore della gente è tenacemente ribelle e sporco di terra. La  pressione della menzogna finisce per esplodere, nel vuoto spinto di quel mondo rarefatto, povero di cultura ma forte per tradizione, primitivo eppure in grado di dirigere verso il futuro lo sguardo acutissimo di chi è abituato a fiutare il tempo. Global è, significativamente, il nome di una presenza intrusa, che improvvisamente capita, in una piccola comunità rurale della Pennsylvania, a sovvertire quell’ancestrale equilibrio. Steve (Matt Damon), accompagnato dalla sua assistente Sue (Frances McDormand),  è il rappresentante di una compagnia petrolifera, il cui  compito è convincere i proprietari delle fattorie a vendere i loro terreni, sotto i quali si troverebbero grandi giacimenti di gas naturale. I contadini perderebbero la loro attività e sarebbero costretti a cambiare vita, ma in compenso otterrebbero ingenti guadagni, potendo trarre vantaggio dalla nuova fonte di ricchezza. La persuasione è un’arte difficile, nei recessi della civiltà in cui l’uomo è abituato a vivere secondo i ritmi immutabili della natura, che risponde con violenza ai cambiamenti repentini ed agli interventi contrari alle sue leggi. L’idea del progresso mal si concilia con i principi della pace e della semplicità, che sono gli spirituali beni rifugio a cui si ricorre nella miseria. Il calcolo e l’arrivismo, per contro, sono i prodotti della frustrazione, quella che da sempre affligge Steve, e che, dopo una grande delusione subita nell’adolescenza, l’ha spinto a lasciare il paese d’origine per cercare una rivalsa nel successo professionale. D’altra parte della barricata quel figlio di contadini trova i suoi simili di un tempo, non tutti necessariamente ostili alla sua figura di messaggero del denaro, ma comunque diffidenti nei confronti di quel suo linguaggio troppo carico di promesse.  Quasi nessuno crede nel suo progetto, e, in attesa del voto con cui gli abitanti del villaggio dovranno esprimere il loro parere sulla proposta, la quotidianità prosegue come sempre, tra il lavoro nei campi e le bevute di birra nel bar del paese. La scorza di quella gente è troppo dura perché la sua disapprovazione scoppi in rivolta: la sua resistenza si esprime piuttosto in un’indifferenza passiva, che mira a rendere inoffensivo il nemico privandolo degli spunti per lottare. Pochi sprovveduti si lasciano convincere, mentre la maggioranza si limita a non prendere sul serio la questione, trattando, con uguale distacco, i due stranieri venuti in casa a loro a contendersi il primato sulla verità: da un lato Steve, l’esponente del capitalismo, dall’altro Dustin (John Krasinski), il militante ecologista. Il bilancio dei pro e dei contro appartiene alla mentalità industriale: nelle campagne, invece, non ci si mette a far la guerra con i numeri e le parole. È questo il motivo per cui, in questo film, la storia si compie quasi interamente all’interno dei rapporti tra i due antagonisti, lasciando sullo sfondo la massa invisibile e silenziosa degli uomini, delle donne e dei bambini sulla cui pelle si sta giocando quella ignobile partita. Questa incompletezza della prospettiva impedisce il confronto tra due mondi, riducendo il racconto ad un political thriller in miniatura trasferito in un ambiente campestre: un’apparente debolezza della sceneggiatura (che reca la doppia firma di John Krasinski e Matt Damon) che, tuttavia, potrebbe essere evitata solo falsificando lo stato delle cose. Gli agricoltori sono davvero individui privi di voce, incapaci di controbattere alle furbesche argomentazioni di chi ne sa molto più di loro. Per non lasciare completamente deserto il fronte opposto, senza alterare la realtà, gli autori hanno introdotto il personaggio di Frank Yates - un professore di scienze con dottorato in fisica rilasciato da una prestigiosa università americana – che, nonostante sia in pensione, continua, per diletto, a insegnare presso la locale scuola. Grazie a questo brillante accorgimento narrativo, la trama può svilupparsi con il giusto equilibrio, senza inutili contrapposizioni ideologiche, amalgamandosi alla tranquillità dei luoghi, e partecipando alla sua desolazione: lo scoglio contro cui si frangono tutte le utopie, mentre i sogni ritornano, in buon ordine, alle loro modeste origini.

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