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Il sospetto

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Il sospetto

di Kurtisonic
8 stelle

Se volessimo ancora collegare T.Vinterberg al Dogma si può solo riconoscere nel suo ultimo film, Il sospetto, la volontà di prendere in esame tematiche scomode per trattarle in modo affatto superficiale come già fece nel suo esordio con il fortunato Festen. Per quello che riguarda l’uso e l’abuso della drammaturgia vietati dal verbo del maestro Von Trier, invece il regista non pone nessun limite, e Il sospetto è un film che coinvolge emotivamente in maniera molto forte lo spettatore. Un’accusa di pedofilia nei confronti di un uomo, Lucas, sconvolge la sua vita nella quale si ridefiniranno i suoi rapporti con le persone che lo circondano. Sgombrando il campo da ogni equivoco, si può tranquillamente affermare che a Vinterberg non interessa parlare della pedofilia, ma cerca di smascherare i meccanismi collettivi ed inconsci che si attivano in una comunità di fronte ad un’infamia che intacca il proprio nucleo sociale. Dall’inizio lo spettatore è informato dell’infondatezza dell’accusa, e lungo il film non emerge la possibilità di insospettirsi verso il protagonista del quale si prendono a cuore le tristi vicissitudini. Il regista scoperchia una dolorosa e devastante realtà, il mondo adulto si confonde in maniera drammatica e totale con quello infantile, smentendo le proprie regole e non riconoscendo più la sua capacità di giudizio, di ruolo guida,  di formazione e di autorevolezza individuale e collettiva. Il film è ambientato in Danimarca, dunque nei paesi in cui riconosciamo l’applicazione della crescita intellettuale, sociale e organizzativa, che colloca quella parte di mondo come una delle più evolute, basate sul rispetto altrui,  sui diritti di tutti i suoi componenti dal più piccolo all’anziano secondo modelli di sviluppo tanto pratici quanto moderni. Vinterberg ha il coraggio di puntare il dito contro questo modello di vita, che come il resto del pianeta non riesce ad assorbire novità, cambiamenti, mutazioni generazionali con l’affiorare di nuove problematiche  che richiederebbero attenzione, soprattutto quel tempo che l’uomo non domina e non controlla più. Dunque i personaggi della cittadina danese vivono la colpa di offrire ai loro figli un futuro macchiato da qualcosa che non sanno spiegarsi, ne sentono la minaccia e cercano un’irrazionale espiazione difendendosi ed eliminando a qualunque costo il germe malato, senza vedere che la radice  è dentro loro stessi. Non a caso le affermazioni” .. i bambini non mentono mai… io credo ai bambini…” sono frasi ricorrenti nella vicenda, sono portate all’interno della narrazione, sono il mantra liberatorio e accecante che guida la ritorsione degli adulti verso Lucas. La regia attenta cura la messa in quadro, scegliendo accuratamente i contenuti da riprendere, tuttavia seppure il film si snoda attraverso anche delle buone sottotracce quali il rapporto padre-figlio, la travagliata amicizia fra Lucas e il padre di Klara (la bambina che dice di essere stata molestata),la precisa definizione della vicenda toglie un po’ di ambiguità e di suspance  che rende la lettura della trama unilaterale e senza scossoni psicologici. Forse l’introduzione  di qualche espediente che mettesse appena in dubbio la positività di Lucas avrebbe giovato ancora di più al racconto. Un buon film, senza dubbio, ma che oltre alla profonda amarezza che rilascia, mantiene quella traccia di incompletezza che  copre un perbenismo moderno travestito che ha la forza di nascondere le proprie debolezze. Mi riferisco al prefinale, all’agghiacciane festa d’iniziazione alla caccia del figlio di Lucas, dove tutto sembra rientrato in una normalità (spiegata bene dal finale), senza una reazione plausibile del protagonista stesso, assorbito nel rituale della quotidianità, riducendone lo spessore psicologico a quello dei suoi amici, inducendo a pensare che anche lui avrebbe reagito con le stesse modalità se si fosse trovato dalla parte dei giudicanti.      

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