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Il sospetto

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il sospetto

di barabbovich
4 stelle

Una bambina dell'asilo (Wedderkopp) racconta una cazzata e un adulto (Mikkelsen), il suo maestro, finisce in prigione. Non è un film di fantascienza, anche se ci si avvicina moltissimo, bensì una variante sul tema della pedofilia, che con Festen già aveva fruttato gli allori al regista in squadra col Dogma 95, Thomas Vinterberg. Pur avendo le sembianze del melodramma realista, Il sospetto è un'accozzaglia di trovate inverosimili che assemblano alla rinfusa Cane di paglia, Il dubbio e Caccia selvaggia. La storia è quella di un maestro d'asilo, separato, che diventa vittima di un'accusa del tutto gratuita da parte di una mocciosa che è anche la figlia del suo migliore amico. Convocato dalla dirigente scolastica, che non si è fatta scrupolo di sottoporre la bambina a una sommaria perizia da parte di uno psicologo che usa alla piccola gli stessi metodi di estorsione che la Gestapo rivolgeva agli ebrei, il maestro si limita a dire: "la situazione è grave". Un altro al suo posto avrebbe rovesciato la scrivania e sarebbe tornato dopo un quarto d'ora col fucile a canne mozze. Lui no: resiste stoicamente, aspetta che le indagini facciano il loro corso, per qualche tempo vede persino il sole a scacchi. L'epidemia della maldicenza è esiziale, si innesca un effetto contagio per cui dopo qualche giorno il mite maestro viene trasformato nel mostro di Marcinelle. Gli amici lo abbandonano, i commercianti gli usano una delicatezza che fa rimpiangere i metodi dei Casalesi e qualcuno gli fa anche trovare il cadavere del cane davanti all'uscio di casa. Dalla sua parte rimangono soltanto il figlio adolescente e un amico. Il sottofinale è talmente assurdo che mi piacerebbe raccontarlo per sfregio al film, ma vi lascio la sorpresa se avete 7 euro da buttare.
C'è da rimanere costernati dopo aver visto un film del genere. Ci si domanda: perché tanta voglia di colpire il pubblico con una favola che è al più una sorta di sbiadita parabola cristologica? Perché eliminare dal plot narrativo qualsiasi elemento di plausibilità (un minimo di strategia difensiva da parte dell'accusato; una minor prontezza al linciaggio prima morale e poi fisico da parte dei cittadini; il sottofinale che, ancora una volta, non sto a dire)? Nella sua voglia di colpire lo spettatore al basso ventre, con un racconto al quale va comunque riconosciuta una notevole potenza narrativa e una capacità indubbia di tenere la tensione sempre su quote altissime, Vinterberg finisce per offrire un'analisi delle dinamiche comunitarie quanto mai rozza, approssimativa, persino didascalica (ci viene spiegato passo per passo come e perché la bambina arriva all'accusa infamante), in consistente ritardo persino sulle teorie già a loro tempo semplicistiche di Tarde e Le Bon.
L'unico merito del film, oltre alla bella prova di Mads Mikkelsen - che a Cannes si è conquistato il massimo alloro - è quello di ricordarci - come fece L'innocenza del diavolo - quanto di diabolico possa esserci nei bambini.   

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