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Ristabbanna

Regia di Gianni Cardillo, Daniele De Plano vedi scheda film

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La recensione su Ristabbanna

di OGM
8 stelle

La Sicilia del disincanto. L’al di qua dell’orizzonte è un mondo incapace di crescere. Nemmeno quel tanto che basterebbe a portarlo all’altezza dei suoi sogni. Vista da questa parte (ristabbànna) la vita è  tanto stretta, limitata da una riva sottile oltre la quale si estende la vastità di tutto ciò che si potrebbe avere, sapere, scoprire. È soltanto una striscia di terra quella che separa la vecchia casa di zì Natale dal bordo di una grande salina. Lo spazio è poco, eppure molte sono le cose da dire. Quell’uomo, ormai anziano – interpretato da un insolito Ben Gazzara – ha un messaggio importante da trasmettere alla nipote Rosina, che, dopo la morte dei suoi genitori, aveva allevato come una figlia, ma che, una volta diventata adulta, ha deciso di emigrare negli USA in cerca di fortuna. Era convinta che Marsala non offrisse alcuna prospettiva a chi, come lei, aspirasse a fare del cinema. Alla morte di suo nonno, la ragazza ritorna per partecipare ai funerali e sbrigare le pratiche relative all’eredità. Durante la sua breve permanenza nei luoghi della sua infanzia, il pensiero e le parole di Natale le giungono, in maniera indiretta, attraverso il piccolo Nicolò e le testimonianze degli altri suoi compaesani. Il bambino ha avuto in dono la videocamera con cui l’uomo aveva iniziato a girare un film, indirizzato a Rosina: un documento sulle bellezze del paese e delle persone che vi abitano, volto a mostrare come anche in un piccolo ambiente marginale la realtà possa essere degna di attenzione, e, magari, di meraviglia. Nicolò non ha mai smesso di riprendere ciò che gli accadeva intorno, e continua la sua instancabile opera anche dopo l’arrivo di Rosina. Così tutto diventa cinema, in casa e per strada, in mezzo alla gente o nel segreto dell’intimità. L’importante è saper guardare, e usare l’obiettivo come un occhio curioso ed attento, in grado di trasformare il semplice atto della visione nella costruzione di una storia. Raccontando, la futilità si scrolla di dosso il peso della consuetudine per attingere alla leggerezza delle cose che, dolcemente, vanno e vengono. Ciò che rimane immobile a terra è soltanto il fardello degli errori commessi: una zavorra che, tuttavia, si può mollare decidendo di spezzare i cavi che ci legano inutilmente al passato. Al dovere della coerenza si può venir meno, lasciandosi ispirare dall’istante, dal vento della memoria che ci giunge rinfrescato dalle novità del presente. Rosina ha sbagliato ad andare via, credendo che le conquiste importanti avessero bisogno delle grandi distese di terre lontane. Quella che cerca di sedurci con la sua reboante retorica è solo l’inconsistenza dell’illusione. Rosina non ha trovato quello che cercava, ma stenta ad ammetterlo anche a se stessa. E Salvo ed Angela, i genitori di Nicolò, che sono rimasti da questo lato dell’oceano, hanno torto a credere di essere poveri e non aver combinato nulla di buono.  Il problema è nella prospettiva, nel confronto con un’idea della felicità che ha le dimensioni di una gigantesca chimera. Solo abbattendo questo sproporzionato termine di paragone l’esistenza può tornare ad assumere le sue reali misure: un poco fatto di tutto, né bello, né brutto, però immancabilmente vero. Marsala non è Hollywood, perché è un teatro di pietra, acqua e sale, anziché di cartapesta, nel quale la scenografia è scolpita dalla natura. I suoi drammi, su quello sfondo, non sono meno emozionanti, e non fanno meno paura. Sono solo più incerti e ruvidi, disadorni e duri: sono lamenti casuali che non si direbbero nati per diventare melodia. Sono un coro indisciplinato di suoni sommessi e sparsi: toni selvaggi, ma austeramente amplificati dal rimbombo di un vuoto apparente, che accoglie l’eco timorosa del nostro imbelle vagheggiare.   

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