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Vulgaria

Regia di Pang Ho-cheung vedi scheda film

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La recensione su Vulgaria

di OGM
6 stelle

Tutto quello che avreste voluto sapere sul cinema ma non avete mai osato chiedere. Il produttore Wai Cheung To ve lo racconta in prima persona, senza inutili pudori né ipocrite reticenze. Il suo pubblico è formato da un gruppo di studenti universitari e da un numero imprecisato di telefonini, sparsi nella platea, e collegati a internet. La lezione-verità diventa così un pruriginoso scoop in tempo reale sul making of più politicamente scorretto della storia. Linguaggio scurrile, abusi sessuali, discriminazioni di vario genere sono – così ci avverte la premessa – gli ingredienti di base di una vicenda che ci dimostra che, esattamente come in amore e in guerra, anche nello showbiz tutto è lecito. Non c’è limite al sacrificio che occorre compiere per realizzare un film. Il protagonista è l’antieroe di una sfida che si fa via via sempre più grottesca, con risvolti paradossali e grossolani, e sulla quale, molto più che sulla pellicola, si riversa l’anima trash di un’arte che ragiona ormai, esclusivamente in termini di budget. Al sogno creativo si sostituisce la perversione erotica di un bizzarro investitore, i cui desideri diventano legge per chi deve scrivere una sceneggiatura e scegliere gli attori. Intanto l’impotenza, la iella e l’emarginazione crescono, per il povero Cheung To, nella stessa misura in cui la sua libertà si restringe, privandolo dello spazio vitale, in campo professionale ed affettivo. In questo modo la sua esistenza si trasforma in un supplizio tantalico confinato nel ridicolo; è il goffo e perenne affanno del fallito, che  è disposto a tutto pur di mantenersi a galla, mentre il destino non fa che remare contro i suoi progetti. Senza soldi, abbandonato dalla moglie, calunniato dalla sua segretaria, taglieggiato dal suo finanziatore, Cheung To non si arrende mai, tuttavia non può far nulla per arrestare la corsa verso la catastrofe. Questo Fantozzi della settima arte è la vittima di un cinismo dilagante e invincibile, tipico di un mondo in cui ognuno pensa per sé oppure ha un modo assai bizzarro di mostrarsi generoso. Un gusto satirico  e un accenno di iperrealismo si fondono nella descrizione di un dietro le quinte che anticipa la finzione con le aberranti deformazioni prodotte da una fantasia deviata o da un’infelicità che si consola come può. Il sesso è una malattia che, a seconda dei casi, si nasconde per la vergogna o si esibisce con malizia. Fuori e dentro il grande schermo, il corpo umano è oggetto di manipolazioni fisiche o virtuali, mentre i sentimenti si strapazzano in nome dello spettacolo, e il vero amore finisce per passare inosservato. I presunti lustrini sono soltanto sgargianti mucchi di stracci. Talvolta lo show è solo l’ultima goccia di un succo amaro, spremuto dalla miseria. E allora, magari, per poter comunque giungere al successo, l’estrema risorsa è farsi vedere in mutande,  in un reality che celebri la capacità di resistere all’assurdo, continuando a essere perdenti, però instancabilmente laboriosi e vivi. Questa commedia volgare è un sarcastico concentrato di tutto ciò che si fa, ma non si dice, per poter andare avanti, quando il gioco non vale la candela, però, in fondo, quello è il mestiere per il quale siamo nati. Un curioso intreccio di pretese e frustrazioni è il pittoresco ritratto di un piccolo inferno mediocremente confezionato nella quotidianità: è la scenografia di un set che non vuole funzionare, ma non per questo rinuncia alla sua voglia di mettersi in mostra, e cercare di stupirci. 

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