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Il fondamentalista riluttante

Regia di Mira Nair vedi scheda film

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La recensione su Il fondamentalista riluttante

di michemar
7 stelle

L’altro, il diverso, lo straniero, percepito come nemico. Ma il nemico è attorno a noi o è dentro di noi?

La regista Mira Nair affronta una questione delicata e spinosa e sa di cosa parla, essendo indiana di nascita, crescita e soprattutto di cultura, ma avendo vinto una borsa di studio ad Harvard ha fatto un percorso di vita come la storia di Changez Khan, il protagonista di questo film. La questione non è semplicemente spinosa, è un campo minato e la dimostrazione è che il suo lavoro è stato criticato dalle autorità del suo Paese che è confinante con il Pakistan, luogo di origine proprio di Changez. Evidentemente qualche mina è esplosa sul quel campo ma era inevitabile, dato il clima scaturito dopo quella disgraziata data che ha cambiato il nostro sguardo di occidentali ed il crollo delle Twin Towers. Quanti cittadini con colore diverso, con occhi di taglio diverso, con vestiti diversi, con barba e turbante c’erano quel giorno negli USA? Quanti ne sono rimasti tranquillamente a lavorare? Quanti sono andati via e tornati nella loro terra di origine perché il clima americano, non certamente quello atmosferico, non era più accogliente? Lo straniero, specie se venuto dal Medio Oriente, non era più ben visto fino al punto di avvertire una ostilità che andava ben oltre il fastidio che i locali mostrano normalmente.

 

In questo stato di cose, in questa ostile atmosfera, Changez Khan, un pakistano gentile e mansueto, di ottima famiglia, arrivato e laureato negli USA, viene assunto in una importante società di analisi finanziaria. Dopo essersi fatto notare per la sua efficienza e professionalità, comincia a salire i piani della carriera, con grande sua soddisfazione e della ragazza, Erica, che ha conosciuto e che frequenta. Quando però si accorge che anche i colleghi più vicini lo guardano con occhi diversi e i pregiudizi su di lui aumentano, solo per il fatto che è pakistano e si è fatto crescere una barba che adesso incute timore e sospetti, anche il suo atteggiamento muta. E’ convinto di amare ancora l’America ma le cose stanno cambiando e si avvicina, o meglio ritorna, sempre di più ai sentimenti e alla cultura mediorientale, fino al punto di litigare con tutti, persino con la sua ragazza e torna in patria. Lì, in un clima surriscaldato dall’odio verso gli occidentali, incontra un giornalista americano a cui rilascia l’intervista che origina, come un lungo flashback, il racconto della sua vita americana e l’involuzione della sua filosofia di vita.

 

 

Pur se con qualche lacuna, la bravura di Mira Nair sta tutta nell’aver saputo dosare senza fretta – e questo è il maggior pregio -  il cammino del protagonista, che da sentirsi perfettamente integrato nel sistema americano e squalo della finanza affronta il cambiamento fino a combattere quel sistema e vestire i panni del capo di esagitati armati, anche al corrente del rapimento di un professore statunitense condannato a morte dagli estremisti islamici. E’ un percorso descritto dalla regista con precisione, facendoci seguire lo stesso cammino del protagonista passo passo, mostrando la lentissima maturazione del suo cambiamento. Cambiamento che non avrebbe mai immaginato di vivere quando era un professionista rampante della finanza occidentale, ma adesso Changez è determinato e calmo, come un vero capo fondamentalista, anche se all’inizio era perfino riluttante al capovolgimento della sua vita.

 

 

La regista ha avuto l’abilità e la fortuna di gestire un ottimo cast, in quanto Riz Ahmed, già rapper e attore britannico di origini pakistane, è perfetto nei panni del protagonista e anche Liev Schreiber è in ottima forma nel ruolo del giornalista (?) che lo intervista. La sorpresa, almeno per me, comunque resta la buonissima prova di Kate Hudson, convincente Erica, fotografa e ragazza di Changez.

 

La storia è molto interessante e tocca, come prima descritto, un argomento davvero complesso e di non facile trattazione. Difatti, proprio adesso che sto concludendo il mio scritto, il telegiornale sta raccontando che in Francia un gruppo di persone ha picchiato e ridotto in fin di vita un ragazzo rom in quanto ritenuto colpevole (da chi?) di un furto.

 

L’indigeno – il diverso – il crimine.

 

L’altro, il diverso, lo straniero, percepito come nemico. Ma il nemico è attorno a noi o è dentro di noi?

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