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Il fondamentalista riluttante

Regia di Mira Nair vedi scheda film

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La recensione su Il fondamentalista riluttante

di Spaggy
8 stelle

Le apparenze possono essere ingannevoli, pronuncia Changez, il fondamentalista riluttante al centro della storia del film di Mira Nair, titolo di apertura della 69a edizione del Festival di Venezia e presto in sala per Eagle Pictures. E le apparenze ingannano anche lo spettatore che, convinto di assistere a un thriller politico, si ritrova di fronte ad una storia di formazione in cui l'opposizione tra mondo occidentale e Islam diviene motore di cambiamento, di sogni smussati e prese di coscienza.
Non importa essere pro-americani o pro-musulmani per entrare dentro l'ottica della pellicola che, tratta dall'omonimo romanzo di Mohsin Hamid e sceneggiata dallo scrittore con Ami Boghani, subito punta a mettere in evidenza la questione chiave: il modello occidentale, in questo caso statunitense, è l'unico che può garantire felicità e serenità? Ovviamente la risposta è negativa.


Partendo dal presupposto base che sono gli "squali" e i fondamenti a generare mutazioni di personalità e a ridar vita ad odi atavici, Mira Nair costruisce un film lontano da quelli a cui ci ha abituati da anni: ritmo, tensione e spruzzi di comicità e melodramma si amalgamano e raggiungono livelli inaspettati alla vigilia.
Il Pakistan è solo lo sfondo di una storia universale che potrebbe accadere a Lahore così come a Roma. Una storia in cui l'estraneo è il nemico, il diverso il colpevole e tutto ciò che non conosciamo fonte di sospetto. Changez sogna di essere americano prima di intraprendere la carriera universitaria: le immagini che arrivano dall'Occidente promettono di ridar vigore all'economia familiare, in dissesto a causa delle velleità da poeta del padre. Arrivare negli Usa per lui rappresenta il momento di svolta, il grande salto verso l'affermazione professionale e personale: acquistando posizione, raggiungendo stabilità economica e un ruolo di potere che con una battuta lo porterà ad essere dittatore entro dieci anni, Changez diventa uomo in un Paese che, ancora non smosso dai venti di paura e di sospetto del post 11/9, offre ospitalità allo straniero, lo abbraccia e lo porta nelle alte sfere di potere. In quel momento, Changez è solo un numero, una matricola da formare sul mito del self made man e da trasformare in uno shark della finanza. Solo fondamenti da seguire: costi da tagliare, dipendenti da licenziare e aziende da sanare che riducono l'essere umano ad un intoppo, a qualcosa da eliminare per rendere efficienti le attività prese in esame.
Anche l'amore americano di Changez non è molto diverso dalla formazione a stelle e strisce che riceve: è il rimpiazzo di una donna americana che, per espiare le proprie responsabilità, ha bisogno di sostituire il fidanzato accidentalmente ucciso, è l'oggetto di uno studio artistico sin dai primi momenti. L'esotico, l'eco di una cultura lontana, diviene sinonimo di attrazione al di là dell'essenza dello stesso Changez, umiliata e offesa.

Il crollo delle Torri Gemelle dalla Nair viene mostrato solo attraverso le immagini di un televisore. Changez si trova a Manila con la sua azienda e le immagini di un tg viste la sera suscitano in lui un accenno di sorriso. Sorriso onesto che chiunque, dopo lo shock iniziale, può aver fatto, pensando a quanta audacia siano disposti a ricorrere coloro che rincorrono un ideale. Positivo o negativo che sia, l'ideale domina menti e corpi: il fondamentalismo islamico non si differisce dal patriottismo americano. Si vive per diktat che, causa paura nuovi attentati e ricerca di senso di giustizia terrena, porta la Nair a non lesinare elementi narrativi che a prima vista sembrano solo cliché: visite approfondite all'aeroporto, arresti senza alcun motivo e soprattutto sospetti, tensioni palpabili e sfiducia nel prossimo.

Basta aver la carnagione scura, farsi crescere la barba per diventare un criminale: è questo clima di sospetti a far maturare una rabbia emotiva crescente che presto lascia il posto alla presa di coscienza, alla rassegnazione e alla riscoperta delle origini pakistane. Una riscoperta che non è erò sinonimo di abbraccio verso ciò che la propria terra impone: la lotta e il cambiamento per Changez sono ideali lontani da quelli estremizzati del Corano e, soprattutto, lontani da quelli di associazioni segrete che si comportano come le agenzie finanziarie americane. Changez vuole che il mondo cambi ma pretende di farlo con le parole, con le lezioni all'università e senza perdere di vista la propria integrità. Integrità che, invece, ha perso Bobby, il giornalista che lo sta intervistando in un bar di Lahore, arrivato a lui con uno scopo prefissato e un pensiero che non lascia adito alla revisione della propria convinzione. è la profezia che si autoadempie: se si convince che qualcosa è vera, vere saranno le sue conseguenze.

Le apparenze possono essere ingannevoli: chi sembra vittima diventa carnefice e viceversa. Chiasmo narrativo che la Nair ricorda in tutti i 128 minuti del film. L'uso pericoloso del flashback rischierebbe di far perdere la linea centrale della narrazione, la Nair accumula elementi che a prima vista sembrano messi a caso (il matrimonio della sorella di Changez, le regole della finanza, l'uso della tecnologia) ma che trovano invece risposta logica nell'ultima sequenza del film.

Voto: 8

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