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La mafia uccide solo d'estate

Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film

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La recensione su La mafia uccide solo d'estate

di will kane
7 stelle

Il cinema e la mafia, dai tempi di "In nome della legge" di Germi, hanno avuto sempre un rapporto speciale: perchè parlare del fenomeno criminoso partito dalla Sicilia e poi germinato sotto altri nomi in varie parti d'Italia e del mondo, è sempre rischioso, anche cineasti in buona fede hanno in qualche modo fornito a capomafia e sicari degli aspetti anche fascinosi, vedi "Il padrino" e altri esempi. Anche se, ovviamente, bisogna andare oltre la facciata, perchè la saga di Coppola è una tragedia elisabettiana miscelata con sapori mediterranei, il rischio c'è sempre. Venuto da "Le jene", Pif firma col nome vero, Pierfrancesco Diliberto, il suo titolo d'esordio, e davanti alla macchina da presa è invece col "nome d'arte": comunque, visto che interpreta il personaggio principale, Arturo, solo nella seconda parte del film, giacchè nella prima, ambientata a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, c'è la sua versione fanciulla, impersonata dal simpatico Alex Bisconti. La chiave del racconto di trent'anni di Sicilia infestata dall'ascesa dei Corleonesi di Totò Riina e miseranda compagnia, è indovinatissima: attraverso l'ottica di un bambino che vede Giulio Andreotti come il proprio eroe, scorrono sullo schermo delitti celebri, come quelli di Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Pio La Torre, e ovviamente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per spiegare l'influenza negativa della mentalità mafiosa, e della relativa, negazionista omertà del cittadino comune, che per non crearsi problemi, finge di non vedere. In più, altra mossa azzeccata, i boss come Riina, appunto, ma anche Bagarella, sono dipinti in versione comico-grottesca, abili solo nel tramare uccisioni ma disadattati nella gestione della vita di tutti i giorni. Il bello del film è che fa sorridere per quattro quinti, per poi ricordare la rabbia dei palermitani dopo la strage di via Amelio, che portò via Borsellino ed i suoi uomini, e finalmente un cammino intrapreso verso una "normalizzazione", dopo anni di sangue e tragedie: e il giro col figlio attraverso le targhe a ricordare coloro che hanno pagato con la vita tale risultato, è un giusto finale che dà un tocco di onesta commozione al film. Uno dei più riusciti esordi italiani degli ultimi vent'anni.

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