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La mafia uccide solo d'estate

Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film

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La recensione su La mafia uccide solo d'estate

di ROTOTOM
8 stelle

Pif, il personaggio allampanato e ironico colmo di meraviglia per il mondo grottesco che racconta nel suo programma su MTV Il Testimone, è molto più di ciò che sembra. Come il suo soprannome, corto, onomatopeico  come  uno sbuffo di qualcuno che casca inconsapevolmente nelle situazioni, ha in realtà nel nome chilometrico, anch’esso onomatopeico e musicale, una cassa armonica di atavica coscienza civile. L’eco di un nome che suona austero tra le stanze di palazzi dalla nobiltà decaduta. Pierfrancesco Diliberto.



E, nomen omen, il suo primo lungometraggio, La mafia uccide solo d’estate, è esattamente la sublimazione in immagini di un personaggio complesso, molto interessante, che ad una innata leggerezza condita da ironia unisce una profonda forma di pensiero civile maturata nella vita “militante” palermitana durante gli anni della guerra di mafia di inizio anni ottanta.



E’ la storia di Arturo , alter ego del regista, un bambino che nasce e cresce in una città, Palermo, durante la stagione degli attentati  nei quali muoiono gli eroi della resistenza ad un fenomeno , quello della mafia, fino ad allora avvolta nelle nebbia di una mitologia omertosa. In questa stagione di sangue i fantasmi di un parastato criminale che intreccia legami con le istituzioni  emerge in tutta la sua potenza.

Arturo è un bambino riflessivo, intelligente, timido e innamorato della bella e borghese Flora (Cristiana Capotondi, da adulta)  compagna di classe che  vive nel limbo dorato della sua condizione privilegiata senza rendersi conto di ciò che sta avvenendo intorno a sé.
Arturo invece è ammiratore compulsivo di Giulio Andreotti che vede come suo nume tutelare (padrino, a tutti gli effetti) figura tra il paterno e il mefistofelico che  sostituisce la presenza del genitore naturale, distratto e disinteressato. Omertoso, si direbbe, anche in fatto di educazione figliale.



La storia della vita quotidiana di Arturo si intreccia alla Storia della Palermo dei Pio la Torre, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone  e Paolo  Borsellino. Come un Forrest Gump siciliano, è testimone della Storia che si compie davanti ai suoi occhi fino a fargli maturare , in età adulta, una profonda coscienza civile. Non a caso lo stratagemma di Pif è quello di sfruttare i documenti video d’epoca e integrarli con riprese attuali ma con la stesso stile e grana di quegli anni .
Così vediamo il piccolo Arturo partecipare al funerale del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa in una perfetta ricostruzione d’epoca. Dopo tutto anch’esso è Testimone, come il suo regista, egli eventi di quel tempo.



Delicato e triste, comico e commovente, La mafia uccide solo d’estate, frase assurda che il padre del protagonista usa per stemperare la paura di restare coinvolti nei frequenti omicidi nella città sconvolta dalla faida, riesca far  convivere il registro della commedia grottesca e quello dell’impegno.
Quando il grottesco non è mai demistificatorio ma funzionale alla percezione  che il bambino ha dei fatti ai quali assiste, e l’impegno non è mai portatore di retorica populista.
Equilibrio raggiunto con mirabile attenzione alla storia e all’esattezza nel riportare i fatti. Quello che succede, qualsiasi scena o riferimento ai personaggi storici che appaiono nei film sono tutti assolutamente veri.



Il pregio di Pif è quello di far passare concetti profondi o situazioni drammatiche con un tratteggio semplice, mai didascalico, mentre in ogni scena convivono  più suggestioni: i personaggi della vicenda principale sono sempre inseriti in un puntuale contesto ambientale e sociale abitato da personaggi minori, macchiette, elementi naturali della società palermitana che in quel momento storico è al tempo stesso centro del mondo ( La Sicilia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno della Sicilia, è lo slogan ripetuto come un mantra da Salvo Lima, poi trucidato dai suoi stessi compari) e paesone di ricco di variegata umanità. La commedia è stemperata dall’acido e i mafiosi sciolgono nell’acido una vittima, mentre la fiaba classica ribaltata  in Cenerentolo che conquista alla fine la sua bella principessa, è trattata con grande pudore.



 L’ occhio meravigliato di Pif coincide perfettamente con quello del bambino, tanto che nel momento in cui Arturo diventa adulto e prende le sembianze di Pif, il rischio, tenuto (quasi) sempre sotto controllo, è quello di traslocare il personaggio televisivo nella storia del film. Il personaggio di Arturo da adulto non è un personaggio vero e proprio, è Pif che fa se stesso, uno Charlot senza bombetta e bastone che adatta la storia al proprio carattere e personalità.  Lo scalino, scosceso e infido si avverte. E questa se vogliamo è l’unica piccola crepa di un film gradevolissimo giustamente premiato al Torino Film Festival con il premio del pubblico.
Resiste il concetto chiave della trasmissione televisiva Il Testimone ma virato in un senso più alto, senza replicarne il format. La mafia uccide solo d’estate è quindi un film sentito e voluto fortemente come espressione di un sentimento di reale coinvolgimento emotivo.
Un film di grande freschezza che, senza esacerbare sentimenti, si permette un finale caricato di enfasi genuina,  un monito e un documento propedeutico alla formazione della coscienza delle future generazioni. Il film ha strappato applausi in sala, spontanei. Questo è un grande pregio.

 

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