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La regola del silenzio - The Company You Keep

Regia di Robert Redford vedi scheda film

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La recensione su La regola del silenzio - The Company You Keep

di M Valdemar
6 stelle

Robert corre. Il suo film un po' meno.
Passeggiando placido e plastico lungo i sentieri ben delimitati e protetti, dalla confortevole e asfaltata percorribilità, dell’itinerario-natura thriller politico, con vaghe lievi curve action, The Company You Keep va sul sicuro, scegliendo un registro ampiamente conosciuto e riconoscibile.
Non sorprende ma nemmeno annoia: svolgimento classico e lineare, direzione asciutta e precisa senza inutili sfoggi di tecnica, storia affidabile e “impegnata” con in­serti di spunti riflessivi più o meno importanti più o meno interessanti, cast di primissima scelta.
Il buon Redford ritaglia per sé il ruolo di protagonista, avvocato “perbene” con un passato segreto da militante nei gruppi di protesta negli anni settanta (la guerra in Vietnam), il quale si vede improvvisamente braccato dalla legge che lo ritiene colpevole di un omicidio compiuto trent’anni addietro, in occasione di una rapina in banca. Da qui parte la sua “corsa”: ora tiene famiglia (una figlioletta undicenne già provata dalla perdita dalla madre), tiene al proprio onore (perché, ovviamente, lui è innocente) e tiene a che la verità venga, finalmente, a galla.
L'improbabile fuggitivo, con un paio di improbabili scatti e l’”aiuto” (in)volontario di un giovane rampante giornalista di provincia (Shia LaBeouf, in un ruolo che una volta sarebbe stato proprio di Redford) che prima lo fa scoprire però poi con la sua voglia di verità e giustizia risulta determinante per smuovere le acque, si lancia in un’impresa che lo vedrà incontrare vecchi amici e compagni di contestazione, scontrare con la risolutezza degli agenti dell’FBI, ed anelare un faccia a faccia col vecchio amore che tra l’altro è il solo modo per essere scagionato.
La messa in scena pulita e concreta, con quel tanto che basta da assicurare al film attenzione e di essere seguito fino in fondo senza grossi intoppi e giri a vuoto, può contare con una certa stabilità e convinzione su due risorse fondamentali: la sceneggiatura e il comparto attori. La prima si rivela uno strumento efficace, sia per la sua capacità di presa sul pubblico (la storia e le traversie di uomo - che deve affrontare il proprio passato, riscattarsi, proteggere i suoi cari, dimostrare la sua innocenza - è un classico che piace sempre), sia per la sua struttura “esemplare” (organici alla trama principale si sviluppano evidenti tematiche sulla politica, sui media, su quello che rimane di quegli anni turbolenti), malgrado vi siano alcune crepe e componenti risolte un po’ sbrigativamente (tutti gli aspetti riguardanti la figlia “più grande”, la decisione finale della donna che gli permette di tornare in libertà, il confronto tra l’uomo e il giornalista che si anima di parole dalla carica tutt’altro che risolutiva e acuta) che comunque non inficiano in maniera decisiva la semplicità e la robustezza del copione.
Per quello che riguarda il cast, a parte uno Shia LaBeouf coprotagonista solo discreto ed ancora in cerca di un’identità precisa, si tratta di uno dei migliori possibili e immaginabili. Se Robert Redford regista è sì capace ma non brillantissimo né tanto meno memorabile, come attore sa fare ancora indubbiamente il suo “sporco” lavoro, anche se sembra troppo vecchio per la parte. Ma lui è solo la punta di diamante, quello che ci mette la faccia (in tutti i sensi), il meglio sta nelle retrovie, sia tra chi appare per pochissimi minuti sia tra chi ha un ruolo più rilevante. Da citare assolutamente, in ordine sparso ché nessuno si offenda: Susan Sarandon (straordinario il suo pezzo di bravura tra le mura della cella), il sempre eccellente (e sempre sottovalutato) Chris Cooper, Nick Nolte sornione e visibilmente ingrassato, Stanley Tucci, Sam Elliott, Julie Christie ed infine il monumentale Brendan Gleeson (il migliore di tutti). In una parola: chapeau!
In conclusione, stante la sua natura marcatamente impegnata e “seria” come pure facilmente ascrivibile ad una folta determinata schiera di opere di genere, The Company You Keep è un film che, se pure un po’ statico e risaputo, si guarda volentieri. Con un poco più di coraggio (sia in sede di scrittura che di regia), di dinamismo, di “visceralità” e profondità di sguardo, avrebbe potuto anche essere un grande film.


 

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