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Pietà

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Pietà

di OGM
8 stelle

 


Il sacrificio per amore o per denaro. La vita non ti dà scelta, e fuggire è inutile. L’universo di Kim ki-duk è pieno del male commesso a fin di bene, e del bene esercitato per il male. Offrirsi non è sempre un gesto nobile, perché spesso nasconde un travestimento diabolico. Ci si finge diversi per impadronirsi dell’altro. Si recita a soggetto in un come tu mi vuoi in cui l’apparenza è, al contempo, l’arma e la regia della manovra di conquista. Ci si immedesima in una figura inventata, allestendo uno spettacolo nel quale, a darsi con l’anima e il corpo, è solo il personaggio interpretato dall’attore. La metamorfosi è il veicolo di un inganno, di una rapina, di una vendetta. La preda deve sanguinare per fare da cibo al cacciatore. Lee Kang-Do, crudele riscuotitore di crediti, costringe le sue vittime a stipulare un contratto di assicurazione contro l’invalidità fisica. Quando esse non riescono più a pagare, le storpia per incassare il premio. Forse quel giovane è diventato un mostro perché la madre l’ha abbandonato subito dopo averlo partorito.  È cresciuto senza una famiglia, come un mucchio di sostanza organica a cui nessuno ha saputo dare una forma umana. Non è certo un caso se a lui piace tanto macellare gli animali con le proprie mani, imbrattando il bagno di frattaglie. Il pasto è preceduto dallo strazio, in cui si esprime un’avidità scritta nel patrimonio genetico dell’universo. Il peccato originale è la gola, che conduce ad una condivisione proibita. Come l’incesto. Come l’intrusione nella vita altrui, al fine di carpirne i segreti e sconnetterne le fondamenta. È così che l’estraneo si trasforma in un’anomalia che abita l’intimità, divenendone ben presto un elemento indispensabile. Era già accaduto in Ferro 3  e in Soffio, con un rapporto di coppia che innaturalmente si instaura tra un individuo libero ed uno prigioniero, tra chi sta fuori e chi sta dentro, fino a fondere schiavitù e libertà. Questa volta tocca ad una madre e a un figlio, con lei che improvvisamente riemerge dall’oblio, e lui che, d’un tratto, si risveglia dal torpore autogeno, per riscoprire i valori del mondo. Kang-do, solitario amministratore del terrore, da un giorno all’altro s ritrova schiavo di una presenza materna e, nello stesso momento, scopre i limiti del proprio cinismo. In un attimo si rende conto di non possedere il monopolio della sofferenza, della violenza, della paura, perché c’è chi riesce a gestirle per proprio conto. Come il padre che si taglia da solo una mano per provvedere ai bisogni di un bambino in arrivo. O l’uomo che si sottrae al suo ricatto lanciandosi nel vuoto. Il suo dominio possiede confini ben precisi, oltre i quali si estende ciò che non ha mai conosciuto: la volontà di decidere, secondo coscienza, ciò che è meglio per sé e per il prossimo. Un genitore sceglie di cosa nutrire il figlio, se del magro frutto del proprio lavoro quotidiano o di una manciata di soldi capitati tutti in una volta; se di un tenero coniglietto o di una grassa anguilla.  È il principio che lega ogni essere a quelli che considera come parte di sé. Prima di incontrare lei, Kang-do non appartiene a nessuno. Persino il sesso, per lui, è una pratica autarchica. Dopo il suo arrivo, invece, ogni istante diventa un’occasione da gustare insieme. Che si tratti di giocare con i palloncini colorati o punire un debitore insolvente. Il legame, per dimostrare di essere veramente profondo, deve potersi arrampicare lungo i tortuosi sentieri della perversione, verso quelle vette di temerarietà  per le quali nessuna sfida è impossibile. Il dolore può (e forse deve) raggiungere la follia. Solo così può farsi monumento eterno, che abbraccia la morte per versare le lacrime di un dolore inestinguibile. In  Pieta la tragicità senza fine è scolpita nella materia vivente, che è fragile e pesante come il marmo, ed è anch’essa parente della terra, però è molle e caduca, ed è nata per essere calpestata. 


 


 


Questo film, trionfatore al Festival di Venezia, rappresenterà la Corea del Sud agli Academy Awards 2013.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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