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Pietà

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Pietà

di Spaggy
10 stelle

"Che cos'è il denaro?", chiede Kang-do alla madre appena ritrovata. E dalle labbra di lei Kim Ki-duk ci offre la sua risposta: "Amore, onore, rabbia, violenza, odio, gelosia, vendetta, morte", un percorso a tappe che Pietà traccia inesorabile e senza possibilità di redenzione alcuna. La Pietà del Michelangelo, richiamata agli occhi di tutti, ricorda il sentimento compassionevole che prova una madre nei confronti di un figlio che, seppur partorito, non gli appartiene. Maria tiene tra le braccia il corpo inerme di Gesù, sacrificatosi al demonio. Lo stesso sentimento di sofferenza incondizionata, attraverso i secoli, giunge fino a Mi-sun, prima del suo ultimo sacrificio di fronte al dolore che Kang-do, venduto al demone denaro, prova quando teme di perdere l'unica persona che ha amato in vita, quella madre che per trent'anni non ha mai visto e che si illude di aver trovato.

Mossa dall'amore che provava per il figlio suicidatosi a causa del debito che non riusciva ad estinguere, Mi-sun in un impeto di onore e rabbia pianifica nel minimo dettaglio il suo piano di violenza e odio. Gelosa nei confronti di chi una vita ancora ce l'ha, medita una vendetta che conduce fino alla morte sia dello spirito sia del corpo. Mentre lei, ormai morta dentro, non esita nemmeno di fronte alla pietà ad ultimare il suo proposito, Kang-do non resisterà al dolore di aver ucciso una madre. Che fosse sua o che appartenesse ad un altro non assume rilevanza, il legame sacro, incestuoso e di complicità - anche criminale - instauratosi è talmente forte da non prevedere sconti.

A increspare le onde delle vite di entrambi è la sempre più rilevante importanza che si concede alla materialità del denaro. Kang-do è un sadico cacciatore di crediti, al servizio di un usuraio. Le lamiere e i resti della vecchia città di Cheonggyecheon pullulano di artigiani disperati che per tre miseri milioni di won sono disposti a farsi storpiare con inaudite torture, che Kim Ki-duk non risparmia allo spettatore. Tentare di recuperare le somme prestate da un usuraio si trasforma in una discesa degli inferi, in una corsa smodata all'efferatezza che non arretra di fronte a nulla. Adulti, bambini, mogli e madri pagano il prezzo della povertà, marchiati a fuoco per l'intera esistenza e ridotti a larve umane. Mi-sun non accetta che il figlio si sia suicidato per colpa di Kang-do e non ha pace fin quando non sarà sepolta accanto a lui dopo avere ridotto il riscossore Kang-do in debitore. Nella sua dignità di donna si veste di freddezza e affronta il demonio ad armi pari, lo attira a sé, lo modella e lo rende schiavo d'amore.

Inerme di fronte a un comportamento che neanche la violenza riesce a trattenere, Kang-do cede le sue armi, cambia e diventa umano. Prova gioia, sorride, gioca, festeggia il suo primo compleanno e impara a dipendere da qualcuno. Protetto dal grembo materno dentro cui vorrebbe tornare, è incapace di resistere al manto di Min-su e si lascia avvolgere fino ad annullarsi. Si abbandona alla sua guida e si lascia prendere per mano, ignorando che il sentiero che insieme stanno percorrendo li porta verso il dirupo.
Non c'è speranza per le vie di Cheonggyecheon. Non c'è appiglio di salvezza e nessuno può sfuggire al proprio destino: né un'anguilla néun coniglio, si finisce in pasto alla crudeltà o travolti dagli eventi.

Come un racconto di formazione moralizzante, caratterizzato da uno svolgimento lineare e senza linee d'ombra, Kim Ki-duk affida alla donna il compito di oltrepassare il guado e farsi portatrice di riscatto. Lungo i meandri dell'inferno terreno, la donna infonde serenità portando una morte che profuma di sollievo, annienta il denaro e lo trasforma in polvere sull'asfalto. Abituato a colpirci con soluzioni visive forti, Kim Ki-duk riempie Pietà di simboli religiosi e artistici, di scene truculente e richiami al complesso di Edipo. Nonostante il titolo, non c'è ombra di pietismo e chi ha sbagliato paga. Non necessariamente con il denaro.

Superba l'interpretazione dell'attrice Cho Min-soo, mia personale Coppa Volpi al Festival di Venezia 2012 (i monologhi che mettono in scena il rapimento sono da pelle d'oca).

Sublime.

Voto: 10.

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