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Año de Gracia

Regia di Ventura Pons vedi scheda film

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La recensione su Año de Gracia

di OGM
6 stelle

Sembra strano che il regista catalano Ventura Pons voglia demolire il mito della sua Barcellona. Però, per un buon tratto, questo film pare puntare proprio in quella direzione, sfatando la leggenda di una grande città traboccante di cultura alternativa e di opportunità per i giovani ricchi di talento e creatività. David è uno di questi: nato e cresciuto a Vic, una località di provincia, approda nel capoluogo per studiare arte, e magari affermarsi come pittore e chitarrista. È animato dalle migliori intenzioni, e si aspetta di diventare famoso già dopo il primo anno. Lo aspetterà, invece, una serie di ostacoli e frustrazioni. La principale palla al piede si chiama Gracia, ed è la signora di mezz’età presso la quale alloggia come ragazzo alla pari. La donna pretende da lui la massima assistenza ed il rigoroso rispetto di alcune regole fondamentali, che, di fatto, gli impediscono di condurre una vita di relazione confacente alla sua età e alla sua voglia di fare esperienza e conoscere il mondo. Una volta abbandonata l’idea di frequentare i corsi universitari (troppo noiosi ed inutili), la sua esistenza si ritrova così confinata in un territorio angusto, che si estende poco al di là dell’appartamento della “vecchia”,  fino al sottostante bar, dalla cui postazione internet può perlomeno comunicare col fratello Joel, che si è trasferito in Brasile. Nel frattempo sua madre lascia il marito per un altro uomo, e a David rimangono, oltre  a quelle chiacchierate virtuali, soltanto le serate passate a giocare a carte con la padrona di casa, i cui unici interessi sono la lettura dei tarocchi ed un pappagallino di nome Pinocho. Se a ciò si aggiunge una grave delusione sentimentale, il quadro diventa deprimente al cento per cento, l’autentico ritratto di un precoce naufragio dei sogni. La gioventù  sacrificata alle paranoie della vecchiaia. La fantasia uccisa da una cupa routine senza sbocchi. Per sbloccare la situazione occorre un robusto scossone, di quelli che portano la vita al limitare della morte, per farla rinascere con la forza persuasiva della paura. È la svolta a cui la storia giungerà combinando la sterile rigidità di lei con la natura inquieta e pasticciona di lui, che è  totalmente inesperto, ed eccessivamente sicuro di sé,  e dunque spesso inciampa rovinosamente nella propria ingenuità. Sul suo percorso non incontriamo grandi trovate, né situazioni presentate con particolare originalità, e tutto, a onor del vero, è fin troppo prevedibile, ma la psicologia di protagonisti e comprimari è delineata con un gustoso accento teatrale, che trasforma i personaggi in tipi – non troppo stereotipati – da commedia di costume. Le tematiche contemporanee – prima fra tutte lo scontro generazionale  nell’attuale società gerontocratica – affiorano con discrezione, guadagnando in garbo ciò che perdono in profondità. Questo, d’altronde, non è un film per pensare; nelle parole dell’autore è un’opera de buen rollo, fatta per infondere il buon umore. Il suo happy ending da favola televisiva ripristina l’ottimismo e riscatta l’immagine della vita cittadina, riportandovi quell’atmosfera intima e conviviale che lo stress metropolitano sembrava aver messo al bando. Nulla risulta illuminante, però tutto è confortante, almeno per chi ci crede.

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