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La bottega dei suicidi

Regia di Patrice Leconte vedi scheda film

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La recensione su La bottega dei suicidi

di Kurtisonic
4 stelle

Film a disegni animati di P.Leconte, orfano di Rochefort, di Hallyday, e forse di idee. Non basta la scomunica del bigottismo italiota che voleva vietare il film ai minori per accendere l’interesse intorno alla Bottega dei suicidi. Con un tratto disegnato che ricorda Appuntamento a Belleville non mostra lo stesso gusto avventuroso e creativo e né si avvicina al contenuto analitico. Siamo in quel terreno già visto e conosciuto di lavori d’animazione confezionati da e per nomi altisonanti la cui carica propulsiva e provocante è pari a zero. Espressione melensa e melmosa di una presunta visione d’autore destinata a sottrarre preziosi minuti ed euro dalla travagliata esistenza quotidiana, ma in pieno periodo festivo post natalizio anche fottere il prossimo non è una cattiva azione. Nella metropoli di oggi c’è una bottega di quartiere specializzata in vendita di prodotti efficaci per togliersi la vita. Il negozio è gestito da una famiglia dall’aspetto depresso ed avvilito, come i clienti che a loro si rivolgono. L’arrivo di un nuovo figlio cambierà lo stato delle cose. La prevedibilità e l’esito scontatissimo di un film d’animazione che sulla carta si rivolge a fasce di pubblico di età diversa potrebbe non necessariamente rappresentare un limite. E’ il modo in cui ci si arriva, il modo in cui il contenuto morale si sviluppa, la somma di scelte che si operano al suo interno che decretano un “valore” comunicativo, alto o basso che sia, usando anche linguaggi all’apparenza meno  nobili come il cartone animato. La bottega dei suicidi appare più come il tentativo di mettere sul mercato un prodotto riempi carrello, facilmente mercificabile orientato al semplice svago senza toccarne il messaggio intrinseco. Sfortunatamente l’intervento dei prodi censori italiani che poi hanno ritirato la richiesta di divieto, ha dato un po’ di linfa vitale, si fa per dire, ad un film stucchevolmente accettabile da minori di anni sette. Esente da ogni lettura morale e da ogni minima analisi, per sicurezza Leconte rappresenta la “fabbrica della morte” in un edificio caratteristico della parte vecchia della città, identificandola  e relegandola ad una cultura passata, condannandone simbolicamente e visivamente la storia, l’esperienza, i significati. Emerge solo il vecchiume, la decadenza, l’inadeguatezza ai tempi moderni che restano comodamente lontani dalla storia, dunque tutto sommato esenti da ogni responsabilità. Molto meglio, sul tema del desiderio di morire, ha sviluppato, il film belga Kill me please che gioca con i modelli stereotipati della modernità e i suoi feticci, ma qui siamo dentro un cartone animato, non si può…I personaggi sono animati da una schizofrenia interiore che li trasforma in un botto da perfidi a teneroni, la positività del figlioletto diventa un vaniloquio svuotato di ogni senso di ribellione vera verso i genitori vampireschi. Qui prevale la chiave catto buonista e la retorica, per cui basta sorridere alla vita, perdonare ed essere perdonati, non chiedere conto di nulla che così non si cade in depressione e in solitudine. La fiacchezza narrativa è dietro l’angolo, richiede ogni quattro minuti l’inserimento musicale con la canzoncina  e intanto l’orologio va avanti. Il film non suscita nessuna riflessione, nessun ragionamento legato alla realtà, nessuna simpatia verso i protagonisti, eppure anche le favole  contengono diversi piani di interpretazione. Destinato ad essere dimenticato in fretta, si segnala per lo sconcerto autentico di Leconte di fronte al tentativo di censura. Si dirà sconvolto, lo stesso commento dello spettatore medio. 

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