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Superstar

Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film

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La recensione su Superstar

di Spaggy
6 stelle

15 minuti di celebrità. Tanti ne aveva profetizzati Andy Warhol, troppo pochi se confrontati alla kafkiana situazione vissuta da Martin Kazinski. Ritrovarsi famoso senza volerlo diventa per un lui un percorso accidentato che, anziché migliorargli vita e situazione economica, finisce col portarlo al collasso di ogni certezza e lasciarlo in balia della sfiducia nei confronti del mondo che lo circonda e dell'altro.
Accade tutto per caso: una mattina, in metropolitana, qualcuno comincia a chiedergli un autografo, qualcun altro vuole una foto e altri ancora solo toccarlo. Eppure Martin non ha fatto nulla per farsi notare: non è un aspirante vip, non è un'icona moderna dei social network e non è una persona speciale. La sua ordinaria banalità senza preavvisi viene rotta dall'invasione fanatica della gente comune e, in secondo luogo, dei mass media. In pratica, quello che accade anche al personaggio di Roberto Benigni in To Rome with Love di Woody Allen. A differenza di quest'ultimo, però, Martin non ha alcuna intenzione di godersi gli effetti dello status symbol piovutogli dal cielo e si chiede solamente "perché?", cercando di ottenere una risposta che mai arriverà.

La sua fama da Giannoli viene costruita attraverso tre differenti fasi: in un primo momento, è la gente comune a trasformarlo in celebrità; in un secondo momento, invece, è la televisione e una parola mal interpretata del conduttore tv (una specie di Massimo Giletti d'Oltralpe) a renderlo in un uomo banale simbolo della gente comune; infine, è nuovamente la gente comune che decide le sorti del personaggio, mostrandogli odio e disapprovazione. Le tre differenti fasi sono sorrette da un ritmo che, purtroppo, disegna una parabola discendente. Giannoli comincia con toni tragicomici che catturano il pubblico, continua con toni satirici che appesantiscono la storia e termina con un lungo finale pasticciato in cui la consolazione, seppur lasciata intendere, è dietro l'angolo.

La fortuna di Superstar consiste nell'aver individuato un buon campo d'azione, portando avanti una riflessione sul mondo della televisione degli anni Duemila. Reality show, autori televisivi, talk show e produttori sfruttano la gente comune per costruire l'evento, pianificando con attenzione ogni minimo dettaglio per far abboccare il pubblico meno esigente, da sempre alla ricerca di qualcosa da condividere con la massa. I video caricati su internet, le fotografie postate sui social network e le massiccie campagne di marketing sono solo la punta di un sistema ben oleato in cui menti legate al profitto economico tradiscono i propri ideali. In nome di un format o di un punto di share in più, si è disposti a stuprare vittime inconsapevoli e incapaci di reagire, a amplificare il nulla e a scaricare ogni responsabilità. Più la persona è semplice o banale più è facile tentare di modellarla e farne una macchina da soldi. Non è però il caso di Martin che, pur pagandone le conseguenze, riesce a trovare la forza di non lasciarsi abbindolare e di reagire. Nella sua purezza d'animo, che un Kad Merad in stato di grazia restituisce ad ogni inquadratura, risiede il coraggio di ribellarsi, di alzare la voce e di dire no: avrebbe potuto cavalcare l'onda ("Il mondo è violento e volgare. O ne approfitti o resti una merda") ma decide di rimanere puro, di non farsi contaminare dalla asetticità dei sentimenti e dalla negazione del proprio ego, nonostante il delicato sentimento che prova per la produttrice Fleur - un'ottima Cécile De France.

Girato in maniera impeccabile e offrendo un backstage televisivo al vetriolo, Superstar soffre per almeno due motivi: la durata (eccessiva) che lascia sfuggire il film dalle mani del regista e una parte finale che strizza troppo l'occhio a una riflessione sociale, mai del tutto approfondita, che tira in ballo i concetti di "diversità" ed "emarginazione sociale". Nessuno troverà mai una certezza definitiva del perché Martin sia diventato famoso, si accenna tra le righe a qualcosa che lo spettatore può interpretare a seconda del proprio grado di cinismo (è successo tutto per cas o rientra in un progetto di intrattenimento che Fleur pianifica da tempo?).

Voto: 6

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