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Elefante blanco

Regia di Pablo Trapero vedi scheda film

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La recensione su Elefante blanco

di alan smithee
8 stelle

Prosegue l’impegno civile di uno dei più noti ed apprezzati registi argentini, invisibile da noi dai tempi ormai lontani dell’esordio del ’99 con il piccolo e potente “Mondo grua”. Questa volta, come pure con Carancho, torniamo nella Buenos Aires caotica e problematica dei giorni nostri, ma questa volta in particolare nel quartiere delle baraccopoli, che racchiude probabilmente oltre trentamila persone asserragliate in abitazioni di fortuna, sovrastate dal cosiddetto “Elefante bianco”, una gigantesca struttura progettata sin dagli anni ’30 e poi portata avanti a singhiozzo tra una dittatura e un colpo di stato, per restare in stato di abbandono sino ai giorni nostri; laddove sarebbe invece dovuto sorgere il più grande e attrezzato ospedale dell’America latina. Nella bidonville sorta attorno alla gigantesca inerte carcassa in stato di lenta erosione, un fiume di malavita organizzata scorre indisturbato cercando di attrarre a sé già la gioventù già in tenera età, per sporcarla ed invischiarla nel sudicio e purulento mondo della droga e dello spaccio, contaminandoli in modo da non farli uscire mai più se non in una bara.

A far da barriera a questa minaccia incontrovertibile, solo un manipolo di preti cattolici muniti di fede, coraggio e poco altro. Julian, il più anziano e da tempo riferimento spirituale e concreto di tutta la missione, viene tra l’altro a conoscenza di essere afflitto da un tumore al cervello che gli lascerà più poca autonomia; per questo cerca e chiama a sé a sostegno il più giovane francese Nicolas, missionario suo allievo, che sta vivendo un profondo trauma maturato in seguito ad una carneficina avvenuta nella precedente missione, avvenuta in piena giungla amazzonica edin cui risultò l’unico superstite (e a causa di ciò soffrendo e sentendosi in colpa di questa situazione). Sempre in bilico tra situazioni d’emergenza e muniti di una fede che talvolta rischia inesorabilmente di vacillare (e per Nicolas oltre al trauma di quella strage c’è anche la presenza forte di una bella e tenace volontaria a minare le sue sempre più fragili basi e convinzioni), i due preti rimangono sino alla fine ad affrontare problematiche gigantesche e senza soluzioni, nudi ed indifesi di fronte al mondo della criminalità che agisce indisturbata e implacabile per il raggiungimento del suo turpe immorale tornaconto. Forte di un cast che punta alto con un Darin misurato e sensibile e l’attore dei Dardenne e Ozon, Jerémie Renier sempre più maturo, ispirato e perfettamente credibile nel ruolo (oltre alla presenza ormai ricorrente della bella e tenace Martina Gusman) il film di Trapero non si cura, come d’abitudine del regista, di assicurare una lirica emozionale coinvolgente alla Joffé dei vari Mission e Città del sole, ma punta al realismo di un cinema alla Brillante Mendoza, denunciando uno stato di necessità impellente che richiederebbe interventi immediati e forze ben più solide che quelle quattro braccia e due teste umili ma appassionate oltre ogni loro possibilità.

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