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La passione di Giovanna d'Arco

Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film

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La recensione su La passione di Giovanna d'Arco

di OGM
10 stelle

Essere Giovanna d’Arco. Questa è la migliore definizione del capolavoro di Dreyer. Il film, contrariamente a “Santa Giovanna” di Preminger, non riguarda il ruolo della Pulzella d’Orléans nella realtà geopolitica della sua epoca, perché non ha nulla del saggio storico; però ha molto della poesia religiosa. La “Passione” va interpretata proprio nel significato del Vangelo, è un’agonia neotestamentaria, intesa come progressiva separazione dell’anima dal corpo e suo conseguente avvicinamento all’aldilà ultraterreno. L’immagine della protagonista, apparentemente ferma e distante, congelata in una alienata fissità, in realtà ci irradia da vicino con la forza di una fede disumana, capace di stritolare le viscere e la mente. Giovanna è ritratta negli ultimi tormentati attimi della sua vita, quando, dismessi i panni della soldatessa, ed abbandonato il piglio battagliero, appare assorta e raccolta, e, veramente, “sola con Dio”. Il suo celeste straniamento è colmo non di paura, ma di stupore, di fronte alla perdurante incomprensione da parte dei giudici: questi, con i loro connotati legnosi, la loro goffa mole, i loro testoni tronfi e stantii che gravano come rugosi macigni sui corpi pesanti, insaccati nelle tonache, sono l’emblema vivente di un ottuso dogmatismo, di un’autorità vecchia e polverosa, e, in fin dei conti, di una lettura riduttiva e “terrena” dei comandamenti cristiani. Il loro modo di ragionare è improntato ai criteri pratici del “do ut des”, alle categorie premio/punizione, promessa/ricatto. Alla spiritualità sobria e limpida della ragazza essi contrappongono una teologia imprigionata in canoni oscurantisti, dominati dalla fobia per la carnalità (vedi la loro domanda sulla nudità dell’arcangelo apparso a Giovanna) e per l’ambiguità sessuale (i capelli lunghi dell’arcangelo, i vestiti maschili di Giovanna). A ciò si aggiunge l’idea della peccaminosità della natura femminile, implicita nel rifiuto di considerare Giovanna come una possibile rappresentazione di Cristo, come donna compartecipante alla di Lui natura divina. E lei, per contro, risponde alla loro sgraziata irrequietezza di omaccioni con un’angelica immobilità da icona sacra, e alla loro volgare boria di dotti con la sua inattaccabile semplicità di ragazza analfabeta. Il calvario individuale, attraverso il quale Dreyer ci trascina con delicata determinazione, fa di quest’opera uno dei più grandi film di tutti i tempi: non fosse altro per il modo in cui esso riesce a infondere, nei nostri cuori, il senso di una sofferenza profondamente umana per cose sublimemente divine. O meglio, per la loro irrealizzabilità nel nostro mondo terrestre.

Sulla trama

Un’agiografia pura e antiretorica, che lascia fuori la guerra, la nazione, la libertà. La patriota eroina del re, è qui, semplicemente, la santa martire del popolo.

Su Renée Falconetti

Un’interpretazione (s)folgorante, che emana una luce ardente e vivissima.

Su Carl Theodor Dreyer

Un film fatto di primi piani, e di riprese dal basso verso l’alto. Sul viso di Giovanna, queste indicano una partecipazione alla sua proiezione mistica in direzione del Cielo. Sui visi degli ecclesiastici, esse producono invece una deformazione caricaturale che, oltre ad accentuarne la bruttezza, ridicolizza la loro pretesa di superiorità. Dreyer fa dell’angolatura una metafora, anche in senso sociologico: l’obiettivo assume il punto di vista dei deboli, che sono schiacciati dai soprusi, però si salvano con la capacità di guardare oltre i baluardi dei poteri illegittimamente costituiti.

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