Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
L’Italia raccontata dal vero, attraverso i suoi dialetti, la sua mancanza di genitorialità, per figli sempre più degeneri e/o decerebrati, stampati su modello degli ‘Amici’ del Grande Fratello, ma anche l’Italia dei disperati. Tutto questo è il bellissimo film di Paolo Virzì, fra i pochi, nel nostro paese, capace ancora di raccontare così per davvero la vita dei suoi figli, fra quelli avuti, sopravvissuti e ormai andati.
Prendendo a modello una coppia, fra quelle che non si saprebbe definire, all’inizio del film, se conviventi, di fatto, ma sicuramente fra le più realmente presenti nel nostro paese, il regista inquadra la vita di Guido, ragazzo timido e riservato, molto colto, che vive insieme ad Antonia, una ragazza permalosa e felicemente ignorante. Ma non come la ‘pupa&ilsecchione’. Lui lavora come portiere di notte, lei è un’aspirante cantante, impiegata in un autonoleggio. Si vedono solo la mattina presto, quando Guido torna dal lavoro e la sveglia con la colazione. In comune, tutti i santi giorni, hanno che si amano.
Niente di più usuale racconta Virzì, riportandoci anche in alcuni ambienti di Tutta la vita davanti (2008), con la grande capacità, però, di far ridere di gusto e far emozionare. Ispirandosi al romanzo di Simone Lenzi “La generazione”, il regista delinea molto bene i due strambi protagonisti, ben caratterizzati, affidandoli a due attori molto molto bravi, soprattutto Luca Marinelli, assolutamente credibile, in ogni parte che gli si affida, insieme all’altrettanto brava cantante e attrice, Caiozzo, in arte Thony, autrice anche dell’accompagnamento sonoro del film che, sebbene eccessivamente onnipresente, aiuta a caratterizzare un personaggio femminile a tutto tondo. Ottimo il lavoro linguistico presente già in fase di sceneggiatura: il toscano di Guido, e l’inglese della fidanzata di suo fratello; il cinese del meraviglioso personaggio dell’uomo d’affari che chiede strane informazioni alla reception e il tedesco delle hostess; ma anche il siciliano di Antonia e il napoletano del “ginecologo del papa”. Un crogiolo di lingue e culture che sono finalmente lontane dall’Italietta, di cui non se ne può più. Quella di Virzi, invece, è una straordinaria italianità, divertente, amabile e a volte drammaticamente disarmante. Con personaggi che, per dirla con Baumann, sono ‘liquidi’, a causa della loro precarietà con l’esserci. Fra camere e anticamere d’ospedali, raccordi e strade intasate e centri commerciali, tutti alla periferia, ci si muove come quella folla di Pelizza da Volpedo, ma con la differenza che in quel cammino si è tutti distanti l’un dall’altro, soli. Al modo di quel seme che deve gareggiare, per essere più veloce di tutti gli altri milioni, in gara con lui, per dar vita a quel sogno che fa parte di ogni uomo e donna.
Fra amore, ragione, sentimento, libertà, destino e desiderio di genitorialità, Virzi si muove, per recuperare tutto quanto è possibile e che fa parte di tutti i maledetti giorni delle nostre vite.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta