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Quijote

Regia di Mimmo Paladino vedi scheda film

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La recensione su Quijote

di FilmTv Rivista
8 stelle

Il più grande “puparo” vivente (Mimmo Cuticchio); il padre della migliore drammaturgia napoletana contemporanea (Enzo Moscato); il maggiore poeta sperimentale dagli anni 60 a oggi (Edoardo Sanguineti); il genius loci di Teatri Uniti, cinema e teatro (da Martone a Servillo), Angelo Curti; un acrobata della parola comica come Alessandro Bergonzoni; un talento mercuriale come Beppe Servillo, sempre a far da spola tra musica, schermo e palcoscenico; un primatista della transavanguardia come Enzo Cucchi e uno del teatro come Carlo Quartucci: e come passaparola, pellegrino in questa autorevole zuppa collettiva, Lucio Dalla, un Sancho meditativo e pensoso, un ovale occhialuto sovrastato da un cappellaccio, che potrebbe anche essere il personaggio di un romanzo storico di Manzoni, Dumas o Hugo. Insomma, la percentuale di talento per inquadratura in questo film di Paladino è così alta che verrebbe da chiedergli di occuparsi non solo - come ha fatto negli ultimi quarant’anni con impressionante successo internazionale - di disegno, incisioni, scultura e architettura. Bisognerebbe conferirgli la nomina ad honorem di responsabile della cultura di questo Paese, a vita (Dio sa se ne avrebbe bisogno). Del resto, questa schidionata di scene madri dalla caleidoscopica messa in scena figurativa in cui riecheggia la lezione del pensiero fonetico di Carmelo Bene (ma c’è anche uno straordinario crepuscolo fucsia e pervinca che non dispiacerebbe a Sokurov e una citazione in sottofinale di Il settimo sigillo), arriva nei cinema grazie alla nuova Distribuzione Indipendente di Giovanni Costantino, Alessandra Sciamanna e Daniele Silipo (vanno citati perché la loro scommessa vale quanto il coraggio di un autore) e si raccomanda a coloro che credono che il cinema non abbia nulla da invidiare alla scultura, all’arte contemporanea e al teatro d’avanguardia. Ma anche per un monologo/delirio in sonno, causato da difficile peristalsi da abbuffata, che Lucio Dalla, in una sorta di grammelot meridionale calabro campano, esegue con la stessa fluidità del suo ska, tra Totò e Viviani. La musica, sempre dello stesso Dalla, dimostra quanto quell’autore di canzonette conoscesse bene anche i Kronos Quartet o Robert Fripp.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 12 del 2012

Autore: Mario Sesti

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