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Fighter

Regia di Natasha Arthy vedi scheda film

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La recensione su Fighter

di Maciknight
8 stelle

Fighter è un film di discreto valore, non un opera d’arte ma più che dignitoso. E’ la storia di un’adolescente turca che oppressa dalle consuetudini famigliari (peraltro la sua famiglia è già tra quelle moderne e tolleranti rispetto alla media) e soprattutto della comunità e religione di appartenenza cerca di evadere dedicandosi al Kung Fu, iscrivendosi in una palestra con un maestro ed un team di ottima qualità, e miglior scelta non avrebbe potuto fare per incanalare la sua frustrazione ed aggressività latente verso la consapevolezza e la concentrazione. Per dedicarsi alle arti marziali compie vere e proprie acrobazie, manifestando una forza di volontà granitica, dovendo celare alla famiglia questa scelta, cui si oppongono tutti e che la porranno al pubblico turco ludibrio. La regia si performa con stacchi vivaci che impreziosiscono la narrazione, pur rimanendo sempre in degradati ambienti urbani e periferici, non è mai monotona e noiosa, nonostante la ragazza turca (Aicha, che si pronuncia Aiscia) disponga probabilmente di un vocabolario di 200 parole e ne pronuncerà a stento la metà nel corso dell’intero film. Talmente silenziosa che nello spettatore sorge il dubbio che sia una decerebrata, ma poi ci si accorge che il suo ostentato silenzio è dovuto a meccanismi di difesa psicologici oltre all’essere culturalmente disarmata di fronte alle difficoltà della vita ed alle aspettative della famiglia nei suoi confronti, non sapendo comunicare e quindi mediare per alleggerire il peso delle ripercussioni del suo comportamento. A volte basterebbe poco ma lei non ci arriva, con il suo ottuso silenzio peggiora sempre la situazione a scuola ed in famiglia e quando si pente e cerca di scusarsi si atteggia a cane bastonato rendendola ancora più umana ma anche patetica. Ma è l’adolescenza di una ragazza turca in una modernissima città europea, è la storia è più che credibile. L’abilità registica fornisce un quadro complesso ed a volte gravoso (le difficoltà che la ragazza creerà alla famiglia avranno gravi ripercussioni), ma senza mai eccedere nel sentimentalismo, facendo trapelare i sentimenti e le debolezze ed i costumi sociali con semplicità e dignità, senza giudicare. Ne emerge un affresco di vita che favorirà la comprensione della comunità turca e delle difficoltà in cui versano le donne, ma facendo intendere che con la volontà, che in questo caso è anche caparbietà ci si può opporre e trovare il modo per dare spazio al desiderio di libertà ed autonomia personale. Le scene di allenamento della ragazza sono abbastanza curate ma è ben poco approfondito il know how, il bagaglio culturale e spirituale che sta dietro ogni arte marziale, qui solo sfiorato con poche battute estremamente riduttive. Il finale a lieto fine è probabilmente dovuto a motivi commerciali e di positività prospettica che gli autori si proponevano fin dall’inizio. L’attrice che interpreta Aicha è effettivamente campionessa di arti marziali e lo si vede. Un film sufficiente.

 

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