Regia di Lina Wertmüller vedi scheda film
Ieri la Wertmüller ha vinto l'Oscar onorario e direi che se lo è meritato tutto. Nel '77 questo film venne candidato in quattro categorie degli Academy Awards ma, incredibilmente, non vinse alcun premio, neppure quello al Miglior film straniero, che andò ad un film che non aveva nomination in altre categorie - il che è un insulto alla logica, per ovvie ragioni. Ma d'altronde il motivo della non-vittoria si spiega empiricamente pensando a perché, invece, 20 anni dopo lo ha vinto La vita é bella, che per buona parte appare proprio una versione ripulita del film della Wertmüller. Ciò che colpisce di Pasqualino Settebellezze è infatti l'intrinseca anarchia dell'insieme: si parte con una surreale introduzione dove Jannacci propone un sardonico monologo musicale sopra immagini della Seconda guerra mondiale, poi tramite alcuni flashback torniamo in una Napoli anni '30 mafiosissima ma intrisa di scherzi, dove il film vira sulla commedia, a tratti popolare e a tratti nerissima, con le inconfondibili note grottesche che sono il marchio della regista, la recitazione oscilla fra il serio e il farsesco, poi come un fulmine a ciel sereno comincia l'estenuante sequenza all'interno del campo di concentramento, dove il film si fa nerissimo e privo di speranza, mettendo Giannini (interpretazione impeccabile la sua) di fronte alla morte, ripetutamente, come in un limbo: egli pensa di esserle sfuggito ed invece se la ritrova davanti più inesorabile di prima, e per sopravviverle deve scendere sempre più in basso i gradini della moralitá, perdendosi nel vortice. Oltre che per l'ardire di scrittura, interpretazioni e regia, questo grandissimo film dimenticato dai più è da segnalare per una fotografia magistrale, che special modo nelle sequenze ambientate in Germania si abbandona a grandangoli meravigliosi, imprimendo in pellicola tutta la solitudine dei lager e della guerra, senza dimenticarsi dei verdi penetranti sdoganati da Mario Bava negli anni '60.
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