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I giorni della vendemmia

Regia di Marco Righi vedi scheda film

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La recensione su I giorni della vendemmia

di OGM
8 stelle

Siamo un popolo di contadini. Gente che china la schiena per lavorare, ma non la testa, e che mai veramente si ribella, né dentro né fuori. Non importa se viviamo in campagna oppure in città, se siamo ferventi cattolici o vecchi comunisti. La nostra anima è sempre pervicacemente chiusa in una tradizione che, più che essere una vera appartenenza culturale, è un’adesione alle mode nazionali che, senza impegnarci troppo intellettualmente, ci fanno sentire orgogliosamente italiani. Il giovane Elia si vanta di ascoltare De Gregori, Guccini, De André. Il nostro territorio è un’enorme provincia in cui la cosiddetta trasgressione coincide con l’omologazione alle tendenze rivoluzionarie del momento, quasi sempre di importazione, ma di cui spudoratamente ci appropriamo, fino a crederle radicate nella nostra storia patria, o in una autoctona idea del progresso. L’adolescente Emilia, rievocando la sua infanzia, la ricorda, con una punta di malizia, come un tempo in cui era figo cominciare a fumare da bambini. Intanto il padre di Elia custodisce gelosamente, come un prezioso cimeliodi famiglia, la Vespa rossa su cui circola sparando a tutto volume le note dell’Internazionale. Intanto sua moglie organizza, intorno al tavolo di cucina, incontri per la lettura del Vangelo. Loro figlio Elia, in realtà, non bada a nessuno dei due. Sono gli anni ottanta, e l’autorità genitoriale comincia a sfaldarsi, anche se prevalentemente a parole.  Il richiamo delle metropoli estere, della musica leggera, della vita libera e vagabonda comincia a farsi sentire ovunque, anche nel cuore dell’Italia rurale, tra i casolari fiancheggiati dai filari delle viti e dei panni stesi ad asciugare. Emilia sogna di trasferirsi a Parigi, mentre il fratello maggiore di Elia ha già da tempo preso il volo,  girando per l’Europa, e vivendo d’arte. Tutti fanno ciò è suggerito dagli usi correnti. Sono questi ultimi ad esercitare l’unica autorità universalmente riconosciuta, più forte di quella dei padri e dei governanti, perché troppo somigliante all’antica legge dei costumi tramandati oralmente, a cui ci si adegua senza interrogarsi sulle loro ragioni, né, tantomeno, sulle loro origini. Il film dell’esordiente Marco Righi ci porge, con garbata simpatia, il volto acerbo e teneramente ingenuo di questo conformismo di casa nostra. I due giovani protagonisti, che parlano con tanta pretesa sicurezza di una vita di cui non possono ancora sapere alcunché, sono gli interpreti ideali di questo peccato di vanitosa ingenuità: nei loro discorsi da grandi riconosciamo il goffo tentativo di darsi una veste borghese indossando, come un costume di scena, un abito che altri hanno cucito per sé, non certo per assumere una posa, bensì per dare forma ad un proprio preciso pensiero. è fin troppo facile scambiare I giorni della vendemmia per la storia dell’iniziazione sentimentale di un impacciato ragazzo di campagna da parte di una spregiudicata ragazza di città. Questo, invece, è, soprattutto, il sommesso ritratto di una generazione, rimasta invisibile ed innocua, confinata nella dimensione privata: una generazione che, pochi anni prima del crollo della cortina di ferro e della morte delle ideologie, tra la commozione per la morte di Berlinguer e l’entusiasmo per l’elezione di papa Woytila,  si è temporaneamente illusa di poter essere la pacifica avanguardia di un mondo migliore.

 

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