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Stoker

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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La recensione su Stoker

di amandagriss
10 stelle

Stoker 1) fuochista
           2) chi tiene acceso, chi carica, chi alimenta,
               chi si ingozza (DICIOS.com dizionario on line)
rimanda foneticamente a
Stalker 1) cacciatore in agguato
            2) inseguitore, insidiatore                

Il seme della follia. Innestato al momento della nascita, sedimenta, mette radici, ramifica e cresce dentro in maniera esponenziale fino ad esplodere, invadendo con la sua furia distruttiva tutto e tutti; una volta che deflagra è impossibile controllarla, gestirla, soffocarla;  come un fiume in piena straripa dai propri argini mentali e corporei, rapida spietata devastante; il suo fiammeggiante cammino è lastricato del sangue delle proprie vittime, cadute sotto la scure pesante del suo lucido cristallino disegno. Come il più temibile dei predatori, aspetta paziente e ostinata il momento giusto per colpire - una sola volta e fare centro -, stana la preda designata, le fa sentire il proprio fiato sul collo, le si dedica con attenzione e cura scrupolose, se necessita, la circuisce e si serve dell’arma dell’inganno, della seduzione sessuale, per attirarla a sé, in un gioco sadico e perverso in cui a muovere le fila è lei. Solo e soltanto lei.

Quanto è reale zio Charlie? Quale e quanto il suo peso nel turbolento viaggio di consapevolizzazione della natura deviata, geneticamente ‘tarata’ della sua cara nipotina India? Che al 18esimo anno d’età realizza pienamente ciò che ha sempre sentito dentro come una diversità a cui rispondere con timidezza eccessiva, poche parole, isolamento dai suoi coetanei. Una volta spalancatesi le porte dell’età adulta  — che per una donna, per tutte le donne in generale, coincide con un modo di vestire ‘da grande’ (camicia da notte di seta dall’ampia scollatura sulla schiena) ma principalmente con l’abbandonare le scarpine basse e dalla punta ampia e tondeggiante, fide compagne di un pezzo di vita, per far posto a calzature snelle e sfilanti dal tacco vertiginoso, come quelle che veste con disinvoltura la propria madre —  India esce dalla tana in cui si è formata e fortificata, finalmente pronta e sicura di sé, per affrontare il mondo, farne parte, fare la sua parte, mossa dal bisogno fisiologico di assecondare e nutrire l’essenza di cui è fatta, mordere la vita, succhiarla fino al midollo. Per arrivare a schiudere le possenti e scalpitanti ali e librarsi nell’aria, deve compiere necessariamente un percorso fatto di tappe, ognuna importante, ognuna determinante per raggiungere la completezza e libertà assolute. Ha bisogno di ‘affrancarsi’ dalla figura paterna, che nel corso degli anni ha provveduto a crescerla educarla istruirla all’arte della sopravvivenza, compiendo con lei il delicato cammino verso il cosciente conseguimento dell’istinto di (auto)conservazione, che contempla l’attacco e la difesa personale, assolutamente certo che il giorno dell’emancipazione, una volta arrivato, si presenterà senza bussare; e a quel punto tutto dovrà essere pronto……. Ma India ha bisogno di tagliare altresì il soffocante cordone ombelicale con una madre ‘troppo ingombrante’ eppure lasciata ai margini, dolente vittima di una verità familiare tanto scomoda quanto inconfessabile. Ha bisogno di farsi il vuoto intorno, spezzare quelle pesanti catene (dei rapporti umani e familiari) che l’hanno da sempre condizionata e costretta.
 
‘Si serve’ del fino ad allora sconosciuto zio Charlie per arrivare alla sua maturazione, al compimento di sé; zio Charlie, uomo reale o immaginario, proiezione di se stessa, suo necessario alter ego, anima gemella, sostegno insostituibile dal quale trarre coraggio forza astuzia furbizia, dal quale attingere l’esperienza indispensabile per affinare sul campo le proprie doti di giovane affamata assassina e non lasciare tracce, riuscir a districarsi da fastidiosi ficcanaso, (ri)mettere tutto al proprio posto. E rimanere integra e indenne. Essere se stessa. Unica. La perfetta fusione (corpo e anima) di chi l’ha generata.    

Film sulla follia e il suo feroce manifestarsi o la straordinaria metafora, a tinte forti, del traumatico passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, che - come accade per ogni fondamentale stagione della vita - lascia ineluttabilmente dietro di sé strascichi di sofferenza sanguinante, cui porre rimedio nel modo e nella misura in cui è possibile farlo.

L’intrigantissimo script di Wentworth Miller, il giovane protagonista del serial tv di culto Prison Break, è un’idea non originalissima ma ben scritta e magnificamente strutturata, di certo (o forse) derivativa di una produzione televisiva statunitense che negli ultimi anni in termini di qualità ed inventiva ha superato di gran lunga quelle del fratello maggiore in celluloide; qui, per intenderci, siamo dalle parti di Dexter col suo tenace e rigoroso  addestramento alla vita - distillatoci puntata per puntata -, al controllo e gestione del proprio istinto omicida, alla piena coscienza dell’intima  mostruosità di cui è fatto il protagonista, che negli anni della formazione ha sviluppato e perfezionato il talento naturale del predatore ed acquisito dal padre/guida/maestro i giusti mezzi per assecondare la propria natura di killer e rimanere al contempo un uomo libero.
                                                                        
Il primo film americano di Park Chan-wook è un’opera che si rivela perfetta nella sua costruzione concettuale e visiva; la direzione  impeccabile, fluida e sinuosa, avvolge gli ambienti e i personaggi, stringe sui loro corpi e s’insinua tra le espressioni dei volti, lavorando di cesello, lasciando emergere  pulsazioni, sensazioni ed emozioni variegate e contrastanti; agilmente si muove tra spazi volutamente ridotti e claustrofobici, mentre il montaggio ‘sensoriale’ lavora per spezzare la linearità del racconto, puntando ad amplificare le percezioni dei suoi protagonisti, principalmente della bella e insicura India di cui assistiamo l’eccezionale metamorfosi da bruco incolore a variopinta farfalla/mantide; primi piani che non si dimenticano (soprattutto alla splendida statuaria Nicole Kidman) e un insistito lavoro sui dettagli non fanno che scuotere e destabilizzare la parte razionale di questa storia estrema e torbida il giusto, attorcigliarne il precario filo logico senza preoccuparsi di sbrogliarne i nodi (fortunatamente), sottoponendo lo spettatore ad una lettura stratificata che (si) apre all’interpretazione soggettiva, dapprima imbrigliandolo nell’intricata e minuziosa maglia di ambiguità che per tutto il tempo ha finemente intessuto e poi lasciandolo lì, a decidere se divincolarsene o meno e a domandarsi cosa abbia visto veramente e cosa abbia creduto di vedere.
Semplicemente straordinario.

                                                                    
                                                                                                                                                                                                                                                            

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