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Gli infedeli

Regia di Emmanuelle Bercot, Fred Cavayé, Alexandre Courtes, Jean Dujardin, Michel Hazanavicius, Eric Lartigau, Gilles Lellouche vedi scheda film

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La recensione su Gli infedeli

di alan smithee
6 stelle

Il film a episodi, molto in voga in tanta commedia italiana anni '60 e soprattutto '70/'80, e' necessariamente caratterizzato da una sua inevitabile frammentarieta', discontinuita' di risultati, anche quando il tema trattato dai vari episodi che lo compongono e' lo stesso. Anzi spesso il bello di queste pellicole di piu' registi e' proprio confrontare la personalita', lo stile, la sensibilita' con cui vari cineasti si approcciano al tema conduttore che li ha uniti in medio o cortometraggi messi poi strategicamente assieme a formare un lungo, piu' facilmente commercializzabile.
Gli infedeli e' un progetto dichiaratamente goliardico e spudoratamente maschilista in cui la banda di quarantenni piu' nota di Francia (il poker d'assi  Dujardin, Hazanavicius, Lellouche e Canet), assieme ad altri collaboratori, mette assieme una serie di episodi di differente durata (alcuni sono solo fulminanti sketch divertenti di pochi minuti , e sono spesso la parte piu' riuscita del progetto se si riesce ad accettare di buon grado la natura greve ed irrispettosa del progetto) incentrati sulla naturale ed irrimediabile, inguaribile tendenza dell'uomo alla caccia di nuove avventure, ai danni di mogli-schiave di una famiglia ufficiale di cui si disinteressano completamente negli effetti pratico/educativi.
Gli episodi piu' strutturati e lunghi invece, specie quelli che tendono a prendersi troppo sul serio come quello intitolato Lolita, sono spesso fastidiosi e ripetitivi, anche se il capitolo diretto dall'unica regista donna coincolta (la Bercot) e che vede la coppia nella vita Dujardin/Lamy scatenarsi nella confessione dei reciproci tentativi fedifraghi, e' quantomeno interessante proprio per l'aria familiare che inevitabilmente trasuda dal rapporto di coppia preso in considerazione un momento prima che scoppi la bufera. Ma alla fine, considerato l'intento smargiasso, furbino e goliardico del prodotto, che ha almeno il coraggio di non risparmiarsi certe grezzaggini, nudita' esibite ed inevitabili situazioni kitch e grottesche come l'episodio finale a Las Vegas (carina la battuta in cui Lellouche commenta la debacle sessuale della sera prima, riferendosi alla prestazione fiacca del suo organo riproduttivo, con "sembrava di giocare a biliardo con una corda"), luogo lunare e apocalittico simbolo della bruttura e della deriva in cui puo' precipitare l'esistenza umana, l'episodio che considero piu' inquietantemente riuscito e' quello del rappresentante di prodotti biologici che vede un "mostruoso" Dujardin con un'unica fascia sopracciliare che, ignorato da tutti e tenuto a distanza quasi con disprezzo, tenta comunque disperatamente di concludere il proprio intento fedifrago dopo che neanche i piu' insistiti propositi di auto erotismo riescono a togliergli di mente il chiodo fisso dell'avventura clandestina. Arrivera' a far una corte spietata ed imbarazzante proprio alla meno avvenente tra le sue colleghe di lavoro, e cioì lo rendera' ancor piu' ridicolo di fronte ai colleghi, e sempre piu' solo e reietto. Un episodio da "nuovi mostri" che rende bene l'atmosfera inquietante dei tentativi spesso vani di evadere da una quotidianita' che sembra ridurci ad animaletti in gabbia, nel tentativo di regalarci qualche frivolo momento in cui crediamo o ci illudiamo di poter vivere ancora sensazioni, stimoli e sentimenti genuini del maschio conquistatore, padrone del mondo. Ma i sogni e le illusioni durano poco, e in agguato torna presto la realta' grigia di tutti i giorni che ci deride e si prende gioco di noi non appena si torna alla vita di famiglia, ben diversa dagli sterotipi felici e sereni da mulino bianco che certa televisione ingannevole si ostina a raffigurarci.

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