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Bella addormentata

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Bella addormentata

di OGM
4 stelle

L’Italia ancora non s’è desta, l’Italietta ancor beatamente dorme. Marco Bellocchio la ritrae assopita, nell’atto di scambiare per laicismo progressista quella che è soltanto una forma pallida e beffarda di romanticismo anticlericale. La polemica di parte, che qui è poco dignitosamente affidata ad un caricaturale teatrino qualunquista ed anche un po’ cinico, non può sostituire il dibattito; ma forse una sana contrapposizione dialettica sul concetto di vita e sui confini della libertà individuale è un compito troppo impegnativo per una nazione in cui le questioni fondamentali si decidono tradizionalmente in famiglia, tra le mura domestiche, nell’intimità della coppia, nelle stanze private dei leader di partito. La frammentarietà della storia raccontata in questo film non fa che moltiplicare la poco edificante suggestione di un presunto pluralismo che, anziché fare riferimento ad un sistema di pensiero condiviso, si poggia su convinzioni individuali le quali, lungi dal risultare come frutti di scelte meditate, si manifestano nella veste di manie mistiche (la Divina Madre), mode minoritarie professate come fedi (Maria), occasionali sentimentalismi (il medico), narcisistiche adesioni alla propria pretesa onestà interiore (il senatore). In una società civile si può (e si deve!) essere in disaccordo, ma, per poter sostenere un confronto, occorre perlomeno intendersi sui criteri di giudizio applicare al problema. Questo film non fa che celebrare, involontariamente, l’immaturità di una democrazia incapace non soltanto di sviluppare una coscienza collettiva, ma persino di creare le basi comuni su cui avviare la discussione. L’intento dell’opera, naturalmente, era di ben altro segno: prendere spunto dalla disperazione di mariti, padri, madri, figlie, fratelli e persone sole, per dimostrare quanto sia buono e giusto far di testa propria e ascoltare il cuore, che oggi magari ci dice no, ma domani potrebbe dirci un salvifico ni. Il lume della ragione, l’unica arma veramente in grado di combattere l’oscurantismo di un’umanità divisa tra gli opposti demoni della superstizione e dello scetticismo, viene invece mantenuto a debita distanza. Un dramma lacerante è al centro di ognuna delle vicende che, in maniera più o meno pertinente, si intrecciano con il caso della povera Eluana Englaro: ma si tratta, sempre e comunque, di una presenza ipotetica, assunta come punto di partenza di un disorientamento che, in vario modo,  rasenta grottescamente la follia. Quel dramma, un dato di fatto inequivocabile ed inamovibile,  non ci è mai presentato come una realtà da analizzare criticamente, per  poter, anzitutto, definire a dovere i termini del dilemma. E così, paradossalmente, finisce per diventare esso stesso il tabù che questo film aspirerebbe ad abbattere. Il rispetto per il mistero può essere un pregevole atto di sensibilità e modestia. Tuttavia decade in una sorta di furbesca elusività quando, al fine di mascherarlo, lo si fa sovrastare dagli echi di un dissonante isterismo di gruppo: una par condicio dell’ipocrisia, che solitamente sottende una buona dose di viltà, e spesso è sintomatica della più totale mancanza di idee.

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