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L'intervallo

Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film

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La recensione su L'intervallo

di maghella
8 stelle

Primo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo in cui riversa tutta la sua sapienza da documentarista di successo.

 

Veronica è una adolescente della periferia di Napoli che viene imprigionata in un carcere malavitoso dal camorrista di quartiere. Veronica ha intrecciato un amore giovanile con un ragazzo della famiglia avversaria e questo non può essere permesso da Bernardino, il boss locale. La prigione dove la ragazza deve aspettare il proprio verdetto è un ex manicomio abbandonato, a farle la guardia per la lunga giornata di attesa è Salvatore, un coetaneo di Veronica, che vende granite e limonate con un carretto ambulante insieme al padre.

 

Inizialmente i due ragazzi sono diffidenti l'uno dell'altra, successivamente iniziano una conoscenza fatta di racconti, perlustrazioni del vecchio ospedale, confidenze e poi sogni su una vita differente.

Nasce una intesa e una sorta di patto tra i due: se a Veronica dovesse succedere qualcosa di brutto, come ad una delle ragazze rinchiuse e morte suicide proprio in quell'ospedale, Salvatore dovrà denunciare tutto, far sapere la storia.

Una storia come le tante che i due ragazzi si sono raccontati in quella lunga giornata estiva, dove la paura (di morire, di far pipì, dei topi...) lascia il posto piano piano alla fantasia di trovarsi in altri luoghi. Ecco che così il sotterraneo allagato, complice il barchino che vi trovano, diventa il set di una “Isola dei famosi” molto personale, raccontata in diretta dalla voce divertita di Veronica, mentre Salvatore descrive il suo documentario su misura con tanto di coccodrilli feroci e gnù da salvare (“ma quante strunzate che racconti Salvatò”).

Veronica è tosta, decisa a rimanere ferma nelle proprie scelte, Salvatore è “o' chiattone”, che si adegua alle scelte che la vita gli impone senza reagire.

Anche la guardia che deve fare a Veronica è una prepotenza che subisce dai malavitosi del quartiere, un sopruso, una violenza alla quale non si ribella e per la quale sarà pagato 50 euro.

 

Passa la fame dividendo un panino in due, passa il temporale, passa la voglia di scappare per Veronica tramite un foro in un muro di cinta. Veronica sceglie di rimanere e affrontare la propria sorte.

Arriva il buio, fuori e dentro le pareti del manicomio, arriva il boss e quindi la dura realtà prende luce in modo prepotente.

Quando la giornata finisce tutto ritorna a quella terribile normalità dalla quale i due ragazzi per la durata di una giornata si erano potuti allontanare. L'intervallo giusto per poter respirare ancora quella che dovrebbe essere la spensieratezza di due adolescenti, che in una realtà dura come quella di Napoli (e di qualsiasi grande città) devono diventare adulti velocemente.

 

Film realista, che adopera quelli che sono i codici fondamentali per una lettura cinematografica chiara: inizio e fine del film utilizzando la solita ripresa, presentazione dei personaggi che si rivelano essere subito i protagonisti, ambientazione unica, svolgimento della storia in un arco temporale definito, linguaggio utilizzato quello del dialetto napoletano stretto, reso comprensibile dai sottotitoli.

 

La particolarità, e credo anche il segreto della ottima riuscita del film, sta nella costruzione della sceneggiatura, nella scelta dei protagonisti e della capacità di adattare le riprese alla recitazione di essi.

I due ragazzi (Francesca Riso e Alessio Gallo) non sono attori professionisti, hanno partecipato ad un laboratorio teatrale di improvvisazione che esiste da tempo nei quartieri Spagnuoli, e dopo una selezione tra decine di coppie di giovani attori, la scelta è caduta su i due protagonisti del film. Alessio Gallo è stato scelto per il laboratorio iniziale in modo davvero casuale dalla responsabile del casting Alessandra Cutolo: mentre faceva la spesa dal fruttivendolo ha incrociato questo “ragazzone dagli occhi favolosi”, Alessio lavora nel negozio di frutta dello zio e ha vissuto questa esperienza davvero come un sogno, uno di quelli che parevano tanto impossibili nel film stesso.

Prima delle riprese del film, la sceneggiatura è stata modellata sugli attori scelti, modificandola di volta in volta anche in base alle personalità dei due ragazzi e alle sfumature differenti che potevano darne. Una prima prova, una volta che la sceneggiatura era stata conclusa, è stata fatta all'interno di un teatro, in modo che i ragazzi potessero costruire prima con la loro interpretazione quella che sarebbe stata la loro “prigione” effettiva nel film.

 

Nelle riprese non sono state adottate luci artificiali, e anche il set è stato ridotto al minimo necessario, proprio per lasciare più libertà e naturalezza alla recitazione dei due giovani attori, che a loro detta, si sarebbero sentiti impacciati di fronte a troppe persone e a costruzioni artificiali proprie dei set cinematografici. Davvero un approccio da documentarista e da gran osservatore della realtà quella di Di Costanzo, che con arte e poesia ci mostra primi piani di volti umani, lucertole, cardellini, cani e pioggia in modo naturale e proprio per questo equo. L'assenza di musica rende il tutto ancora più realistico.

 

Un film che può apparire quasi “improvvisato” e povero di mezzi, nasconde in verità mesi e mesi di lavoro e studio e tanti sogni di molti ragazzi che in qualche modo ci hanno creduto, e di adulti professionisti che hanno creduto in loro, che sia anche questo il segreto di tanta bellezza e poesia?

 

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