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L'intervallo

Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film

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La recensione su L'intervallo

di Kurtisonic
8 stelle

Il cinema italiano odierno impara a parlare di giovani con un senso della realtà profondo e attento. L'intervallo di L.Di Costanzo è ambientato in un casermone vuoto e in stato di abbandono totale nella periferia napoletana (simbolo della nostra società allo sbando e allo sfacelo), e fra le macerie invisibili ma presenti, crea un incontro fra due giovani fortemente immersi in quel contesto sociale, alla ricerca di una ricostruzione morale e non solo. Salvatore (o'scemo, o' ciccione) venditore ambulante di granite al limone sorveglia per ordine di un piccolo boss di quartiere Veronica, rinchiusa nell'edificio, coetanea ma apparentemente più grande della sua età negli atteggiamenti spavaldi e nelle disillusioni. Nel vuoto delle stanze il loro incontro, che  sarà  un intervallo della loro esistenza, si materializzerà con un sempre meno difficile avvicinamento, uniti dallo stesso filo di disperazione. Il lento progredire della loro amichevole complicità rappresenta quel magma comunicativo che oggi si fa fatica a dipanare in una relazione, tanto più se inserito in contesti abbruttiti e avviliti dalla delinquenza e dal sopruso. DiCostanzo è abile a non fare discorsi sociologici sulla responsabilità di una catastrofe sociale evidente, ma con un senso fotografico ricercato, un immagine rarefatta e dettagliata, incolla, riempie, restituisce qualcosa che sembra impossibile da ritrovare. L'identità, la freschezza dell'anima, la gioventù dello spirito. Il regista napoletano, che viene dal settore documentaristico, registra le moltiplicazioni, le variazioni di gesto e di movimento, del linguaggio del corpo e dei silenzi, che nei giovani sono i principali vettori comunicativi, e usa una lingua, il dialetto napoletano, scandita, esibita, sgretolata come un tappeto sonoro e armonioso dalle mille sfumature, incastrata con le poche luci e le ombre della vicenda. La localizzazione della storia riporta alla mente Gomorra e le sue atmosfere, la cui denuncia però conteneva un quadro globale di una realtà, ma proprio grazie al film di Garrone sembra che si sia creato uno squarcio entro il quale ci si possono infilare aspetti e contenuti che in questi decenni il nostro cinema fatica a riconoscere e a interpretare.L'intervallo è invece una felice intuizione e seppure non alimentata da ritmi di scena elevati, è il lavoro interiore che risulta costantemente attivo lungo tutto il film. Vicenda dura e pura, che "ammette repliche" ci mancherebbe, ma DiCostanzo dimostra che prima dei grandi mezzi il cinema ha bisogno di idee coraggiose, e che speriamo vengano premiate. Il finale forse più aperto che normalizzatore non chiude la porta alla consapevolezza per tornare ad un'illusoria speranza di cambiamento, spinge a guardarsi intorno, a reagire, quei giovani sono come noi li vogliamo vedere, non a caso la domanda ricorrente nei dialoghi con gli adulti buoni e non diretta a Salvatore (l' eroe) è la solita tranquillizzante: "Tutto a posto?".

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